Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici  in
Roma, via dei Portoghesi 12, e' domiciliato; 
    Nei confronti della Regione Sicilia in persona del suo Presidente
per  la  dichiarazione  della  illegittimita'  costituzionale   delle
seguenti disposizioni della legge regionale 6  agosto  2021,  n.  23,
recante: «Modifiche ed integrazioni alla legge  regionale  10  agosto
2016,  n.  16.  Disposizioni  varie  in  materia   di   edilizia   ed
urbanistica»  (pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Regione
Siciliana (p. I) n. 35 del 13 agosto 2021): 
        i) art. 4, limitatamente ai nuovi commi 1, 2 e  7  del  nuovo
art. 3 della legge regionale 10 agosto 2016, n.  16,  introdotto  dal
predetto art. 4 della legge n. 23 del 2021; 
        ii) art. 6, limitatamente alla lettera d), punti 1), 4), 5) e
6) del comma 1 del nuovo art. 5 della legge regionale n. 16 del 2016,
come sostituito dal predetto art. 6 della legge n. 23 del 2021; 
        iii) art. 10; 
        iv) art.  20,  limitatamente  al  comma  1,  lettera  b)  che
sostituisce il comma 3 dell'art. 25 della legge regionale  10  agosto
2016, n. 16; 
        v) art. 22; 
        vi) art. 37, limitatamente alle  lettere  a),  c),  punto  1,
punto 2, e d); 
        vii) art. 38; 
 
                              Premessa 
 
    L'art. 10 del decreto-legge n. 76/2020, conv.  con  modificazioni
dalla legge n. 120/20, rubricato: «semplificazioni e altre misure  in
materia edilizia», ha modificato diverse disposizioni del decreto del
Presidente della Repubblica n. 380/2001  (testo  unico  edilizia,  di
seguito, breviter, Trattato sull'Unione europea). 
    La legge della  Regione  Sicilia  n.  23  del  2021  oggetto  del
presente ricorso ex art. 127 Cost. - la quale  intenderebbe  recepire
le modifiche apportate al testo unico edilizia nazionale (di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/01) dal citato art. 10
del decreto-legge n.  76/20  -  presenta  profili  di  illegittimita'
costituzionale in relazione agli articoli 4  limitatamente  ai  nuovi
commi 1, 2 e 7 del nuovo art. 3,  della  legge  regionale  10  agosto
2016, n. 16, introdotto dal predetto art. 4 della  legge  n.  23  del
2021; 6, limitatamente alla lettera d), punti 1), 4),  5)  e  6)  del
comma 1 del nuovo art. 5 della legge regionale n. 16 del  2016,  come
sostituito dal predetto art. 6 della legge n. 23 del  2021;  10;  20,
limitatamente al comma 1, lettera b), che  sostituisce  il  comma  3,
dell'art. 25, della legge regionale 10 agosto 2016, n.  16;  22;  37,
limitatamente alle lettere a), c), punto 1, punto 2, e d); e 38 per i
motivi di seguito specificati. 
    In via preliminare, si  osserva  che  lo  Statuto  della  Regione
Sicilia approvato con regio decreto legislativo 15  maggio  1946,  n.
455, convertito in legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  2,
all'art. 14, comma 1, lettera n) e f), contenuto nella sezione I (che
contempla le  funzioni  dell'assemblea  regionale),  titolo  II  (che
elenca le funzioni degli organi regionali) attribuisce  alla  regione
competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e
di conservazione delle antichita' e delle opere  artistiche,  nonche'
di urbanistica. 
    Dette competenze, ai sensi del medesimo art. 14, comma 1, devono,
pero', esercitarsi  «nei  limiti  delle  leggi  costituzionali  dello
Stato» e devono, inoltre, rispettare le c.d. «norme di grande riforma
economico-sociale» poste dallo  Stato  nell'esercizio  delle  proprie
competenze legislative (cfr. ad es., le sentenze Corte costituzionale
n. 385 del 1991 e n. 153  del  1995),  tra  le  quali  devono  essere
annoverate: il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10, della legge  6
luglio 2002, n. 137), nonche' le norme statali in materia di  governo
del territorio recanti principi di grande riforma. 
    Inoltre, le materie dell'ordinamento penale  (art.  117,  secondo
comma, lettera l), e dei livelli essenziali delle  prestazioni  (art.
117, secondo comma, lettera m), restano integralmente sottratte  alla
potesta' legislativa  regionale,  la  quale  deve,  comunque,  essere
esercitata nel rispetto dei principi posti dagli articoli 3 e 9 della
Costituzione. 
    Posto  cio',   giova,   altresi',   rammentare   che   la   Corte
costituzionale,  con  riguardo  alla  disciplina  del   governo   del
territorio,  ha  stabilito  che  «sono  principi  fondamentali  della
materia le disposizioni che definiscono le categorie  di  interventi,
perche' e' in conformita' a queste  ultime  che  e'  disciplinato  il
regime dei titoli abilitativi, con riguardo al  procedimento  e  agli
oneri, nonche' agli abusi e  alle  relative  sanzioni,  anche  penali
(cosi' la sentenza n. 309 del 2011),  sicche'  la  definizione  delle
diverse categorie di interventi edilizi spetta allo  Stato  (sentenze
n. 102 e n. 139 del 2013)» (cosi' la sentenza n. 259 del 2014). 
    Pertanto, lo  spazio  di  intervento  residuale  del  legislatore
regionale e' quello di  «esemplificare  gli  interventi  edilizi  che
rientrano nelle definizioni statali», a condizione, pero',  che  tale
esemplificazione sia «coerente con le definizioni contenute nel testo
unico dell'edilizia» (Corte costituzionale sentenza n. 49  del  2016,
sentenza n. 68 del 2018). Si  aggiunga,  altresi',  che  la  funzione
della  salvaguardia  ambientale/paesaggistica  costituisce   elemento
fondamentale e prevalente della gestione del territorio,  cosi'  come
chiaramente affermato anche dalla giurisprudenza costituzionale (cfr.
sentenze Corte costituzionale n. 189/2016, Corte  costituzionale,  n.
182/2006 e n.  183/2006;  Corte  costituzionale  n.  478/2002;  Corte
costituzionale n.  345/1997  e  Corte  costituzionale  n.  46/1995  e
ordinanze Corte costituzionale numeri  71/1999,  316/1998,  158/1998,
133/1993) e da quella amministrativa, (cfr. Cons. Stato, Sez. II,  14
novembre 2019, n. 7839; Cons. Stato, Sez.  IV,  29  aprile  2014,  n.
2222). 
    Tanto premesso, le seguenti disposizioni della legge regionale n.
23 del 2021 sono costituzionalmente illegittime per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
I) L'art. 4 della legge regionale n. 23 del  2021,  limitatamente  ai
nuovi commi 1, 2 e 7 del nuovo art. 3 della legge regionale 10 agosto
2016, n. 16, introdotto dal predetto art.  4,  e'  costituzionalmente
illegittimo: 
    (i) quanto ai commi 1 e 2,  per  violazione  dell'art.  14  dello
Statuto della Regione Sicilia approvato con regio decreto legislativo
15 maggio  1946,  n.  455,  convertito  in  legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 2; dell'art. 117, primo comma Cost.; dell'art. 117,
secondo comma, lettera s),  Cost.  rispetto  al  quale  costituiscono
norme interposte gli articoli 21, 135, 140, 141-bis, 143, 145  e  146
del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera m) Cost.; degli articoli 3, 9, 97 Cost.; per violazione delle
norme di grande riforma economico-sociale  contenute  nell'art.  6  e
6-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001; 
    (ii) quanto al comma 7, per violazione dell'art. 14 dello Statuto
speciale; dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  rispetto
al quale costituiscono norme interposte gli articoli  45,  135,  143,
145 del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio;  dell'art.  117,
secondo comma, lettera l) e p)  Cost.;  dell'art.  117,  sesto  comma
Cost.; degli articoli 3, 5, 9, 97, 114,  118  Cost.;  per  violazione
delle norme  di  grande  riforma  economico-sociale  contenute  negli
articoli 6, 6-bis e 27 del decreto del Presidente della Repubblica n.
380 del 2001, e nell'art. 41-quinquies della legge n. 1150  del  1942
(legge urbanistica). 
    1. L'art. 4 della legge regionale  n.  23  del  2021,  intitolato
«Modifiche all'art. 3 della legge regionale 10 agosto 2016,  n.  16»,
detta disposizioni per gli interventi di attivita' edilizia libera  o
subordinati a  comunicazione  di  inizio  lavori  asseverata  (CILA),
ampliando  l'elenco  degli  interventi  assentibili   rispetto   alla
elencazione contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica  n.
380 del 2001 (testo  unico  dell'edilizia).  Vengono  in  particolare
inseriti tra gli interventi ricompresi nell'attivita' edilizia libera
e tra  quelli  sottoposti  a  CILA  alcuni  che  pongono  particolare
criticita'   rispetto   alle   esigenze   di   tutela   culturale   e
paesaggistica, introducendo semplificazioni edilizie a scapito  della
tutela paesaggistica. Numerosi degli interventi previsti  assentibili
in via semplificata richiedono, in base al testo unico dell'edilizia,
il permesso di costruire,  o  la  SCIA  alternativa  al  permesso  di
costruire: la liberalizzazione regionale viola  quindi  il  principio
posto dal comma 6, dell'art. 6, del Trattato sull'Unione europea. 
    1.1 Con riferimento ai profili di particolare criticita' rispetto
alle esigenze di tutela culturale e paesaggistica, tra gli interventi
compresi dalla regione nell'attivita' edilizia libera si segnalano  i
seguenti: (i)  gli  interventi  volti  all'eliminazione  di  barriere
architettoniche,  categoria  nella  quale  il  legislatore  regionale
comprende anche «la realizzazione di rampe o di ascensori esterni» se
realizzati su aree private non prospicienti vie  e  piazze  pubbliche
(cfr.  comma  1,  lettera  b),  mentre  il  legislatore  statale   ha
espressamente  escluso  proprio  la  realizzazione  degli   ascensori
esterni  o  di  altri  manufatti  in  grado  di  alterare  la  sagoma
dell'edificio (cfr. art. 6, comma  1,  lettera  b,  del  testo  unico
dell'edilizia di cui al decreto del  Presidente  della  Repubblica  6
giugno  2001,  n.  380  -  di  seguito  anche:  Trattato  sull'Unione
europea); (ii) l'installazione  di  impianti  per  la  produzione  di
energia da fonti rinnovabili, al di fuori dei  centri  storici  (cfr.
comma 1, lettera aa), che il legislatore statale ha limitato ai  soli
pannelli solari e fotovoltaici a servizio degli edifici (cfr. art. 6,
comma 1, lettera e-quater, del Trattato sull'Unione  europea);  (iii)
le piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra di dimensioni  non
superiori al 20 per cento del volume dell'edificio  e  appoggiate  su
battuti  cementizi  non  strutturali  (cfr.  comma  1,  lettera  af).
Nonostante il legislatore statale richieda per  la  realizzazione  di
piscine il permesso di costruire, la  Regione  inserisce  le  piscine
fuori terra tra le attivita' a edilizia libera, e, benche'  ne  venga
limitata la  dimensione  al  20%  del  volume  di  cui  costituiscono
pertinenza, il rapporto con il volume  degli  edifici,  per  casi  di
cubature elevate, potrebbe anche  portare  a  superfici  di  notevole
estensione; si  tratta,  inoltre,  di  manufatti  che,  per  le  loro
caratteristiche (opere prefabbricate poggianti su battuti  cementizi)
determinano una significativa alterazione  dello  stato  dei  luoghi,
nonche' incidenza sulle matrici ambientali (consumo di  suolo,  oltre
che di acqua). 
    Il legislatore regionale inserisce, tra gli interventi soggetti a
CILA i sistemi per la produzione e l'autoconsumo di energia da  fonti
rinnovabili a servizio degli edifici, da realizzare all'interno della
zona A di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e  nelle  zone
sottoposte a vincolo paesaggistico, che  non  comportino  pregiudizio
alla tutela del contesto storico, ambientale e naturale, in relazione
alle linee  guida  impartite  dall'Assessore  regionale  per  i  beni
culturali e l'identita' siciliana (cfr. comma 2, lettera p). 
    In particolare, la lettera  p)  del  secondo  comma  prevede:  «i
sistemi per  la  produzione  e  l'autoconsumo  di  energia  da  fonti
rinnovabili a servizio degli edifici, da realizzare all'interno della
zona A di cui al decreto ministeriale  n.  1444/1968,  e  nelle  zone
sottoposte a vincolo paesaggistico, che  non  comportino  pregiudizio
alla tutela del contesto storico, ambientale e naturale, in relazione
alle linee  guida  impartite  dall'Assessore  regionale  per  i  beni
culturali e l'identita' siciliana». 
    Il rinvio alle  linee  guida  costituisce,  quindi,  una  vistosa
deroga alle previsioni del codice dei beni culturali e del  paesaggio
di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,  che  prevedono
il rilascio di specifiche autorizzazioni (cfr. art. 21 e 146) per gli
interventi  che  ricadono  nei  contesti  tutelati.  Oltretutto,   il
rispetto delle linee guida sarebbe auto-certificato con  la  CILA  da
chi  presenta  la  comunicazione,   cosi'   trascurando   del   tutto
l'intervento nel procedimento  degli  uffici  preposti  alla  tutela.
Inoltre, la valutazione di compatibilita' con  il  contesto  tutelato
viene  parametrata  sulla  base  di  uno   strumento   (Linee   guida
assessoriali) estraneo alla normativa di  tutela  nazionale,  e  non,
sotto il profilo paesaggistico, sulla  base  della  disciplina  d'uso
contenuta nei provvedimenti di vincolo  e  nel  piano  paesaggistico,
come invece imposto dagli articoli 135, 140, 141-bis e 143 del Codice
dei beni  culturali  e  del  paesaggio.  Pertanto,  sono  violate  le
richiamate previsioni del Codice dei beni culturali e del  paesaggio,
costituenti altrettante norme di grande riforma economico-sociale. 
    La Corte  ha  infatti  messo  in  luce  come  «la  giurisprudenza
costituzionale ha piu' volte affermato che, in  riferimento  all'art.
117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  non  si  puo'  discutere  di
materia  in  senso  tecnico,  perche'  la  tutela  ambientale  e'  da
intendere come valore costituzionalmente protetto, che in quanto tale
delinea una sorta di «materia trasversale», in ordine alla  quale  si
manifestano competenze diverse, anche regionali, fermo  restando  che
allo  Stato  spettano  le  determinazioni  rispondenti  ad   esigenze
meritevoli di disciplina uniforme sull'intero  territorio  nazionale,
con la conseguenza che l'intervento regionale possibile  soltanto  in
quanto introduca una disciplina idonea a  realizzare  un  ampliamento
dei livelli di tutela e non derogatoria in senso peggiorativo  (Corte
cost. n. 171 del 2012 che richiama, ex multis, le sentenze n. 235 del
2011, n. 225 e n. 12 del 2009). 
    Occorre sottolineare che benche' l'art. 146, comma 4, del  Codice
dei beni culturali e del  paesaggio,  attribuisca  all'autorizzazione
paesaggistica un ruolo  indipendente  rispetto  al  titolo  edilizio,
configurando un atto «autonomo e presupposto», si tratta tuttavia  di
due titoli necessariamente connessi. 
    Gli strumenti urbanistici sono, del resto, subordinati  al  piano
paesaggistico, al quale si devono conformare e  le  cui  disposizioni
sono cogenti e immediatamente prevalenti  su  quelle  di  ogni  altro
piano. 
    Tali criticita' emergono, come si vedra' oltre, anche  alla  luce
di quanto disposto dal comma 7 del nuovo art. 3, che, diversamente da
quanto stabilito dal  legislatore  statale,  dichiara  la  disciplina
regionale prevalente sugli strumenti urbanistici. 
    1.2 Le norme regionali si pongono anche come  lesive  del  valore
primario e assoluto del paesaggio,  implicando  un  abbassamento  del
livello di tutela e percio' contrastando con l'art. 9 Cost. 
    1.3  Occorre  evidenziare  ulteriori  profili  di  illegittimita'
costituzionale nella scelta del legislatore siciliano di  ampliare  a
dismisura gli interventi «liberi» o  soggetti  a  semplice  CILA.  Il
Trattato sull'Unione europea prevede un  regime  di  liberalizzazione
per gli interventi minori, o meno impattanti, sul territorio, via via
aumentando il regime di controllo, attraverso la necessita' di titoli
edilizi piu' severi, fino a riservare il permesso  di  costruire  per
gli interventi piu' radicali, come le  nuove  costruzioni.  Pertanto,
benche', in linea di principio, il regime liberalizzato possa  essere
esteso dalle regioni anche a interventi edilizi «ulteriori» ai  sensi
dell'art.  6,  comma  6,  del  Trattato  sull'Unione  europea,   tale
possibilita'  non  puo'  spingersi  fino   a   includere   interventi
comportanti una radicale trasformazione del territorio, tanto che  il
legislatore statale esclude  tale  possibilita'  per  gli  interventi
soggetti a permesso di costruire o SCIA alternativa  al  permesso  di
costruire (cfr. Corte costituzionale n. 282 del 2016). 
    La  Regione  Siciliana,  invece,  ha  deciso   di   liberalizzare
interventi anche molto impattanti sul territorio, sottraendoli a ogni
tipo di controllo, gran parte dei quali e' invece soggetta, nel resto
d'Italia, al permesso di costruire, proprio per la loro rilevanza. In
particolare, si fa riferimento agli  interventi  previsti  dal  nuovo
art. 3, comma 1,  lettere:  b)  -  ascensori  esterni;  h)  -  strade
poderali; l) -  strutture  murarie  per  la  sistemazione  dei  suoli
agricoli; m) - vasconi in terra battuta per usi irrigui; p) - muri  a
secco con altezza massima di 1,5 m; s) - opere per lo smaltimento dei
reflui provenienti da immobili destinati a civile  abitazione,  fosse
tipo Imhoff o a tenuta, sistemi di  fitodepurazione;  af)  -  piscine
pertinenziali. Nonche' agli interventi previsti dal comma 2, lettere:
g) - strade interpoderali; h)  -  opere  murarie  di  recinzione  con
altezza massima di 2 m; i) - muri a secco con  altezza  compresa  tra
1,5 e 1,7 m; l) - opere per lo smaltimento dei  reflui  per  immobili
con  destinazione  turistico-ricettiva,  produttiva  e   direzionale,
commerciale e rurale. 
    I  suddetti   interventi,   sono   classificabili   come   «nuova
costruzione»,  ossia  trasformazioni  edilizie  e  urbanistiche   del
territorio di cui alla  lettera  e)  del  comma  1  dell'art.  3  del
Trattato sull'Unione europea, per le quali e' richiesto  come  titolo
edilizio il permesso di costruire (o la SCIA alternativa al  permesso
di  costruire).  Secondo  il  Trattato  sull'Unione   europea,   tali
interventi richiedono il permesso di costruire, o la SCIA alternativa
al permesso di costruire, mentre il legislatore regionale  ha  invece
liberalizzato tali interventi, in  tal  modo  violando  il  principio
posto dal comma 6 dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea. 
    Piu' volte, la Corte costituzionale e' intervenuta in materia  di
titoli edilizi, affermando che il potere estensivo regionale non puo'
spingersi fino a  «differenziarne  il  regime  giuridico,  dislocando
diversamente gli interventi edilizi tra le attivita'  deformalizzate»
(Corte cost. n.  282  del  2016).  In  tale  occasione  la  Corte  ha
evidenziato come le norme che  disciplinano  le  forme  di  controllo
sulle costruzioni, e in  genere  il  regime  dei  titoli  abilitativi
edilizi, hanno natura di principio  fondamentale  della  materia  del
«governo  del  territorio»,  in  quanto  ispirate  «alla  tutela   di
interessi  unitari  dell'ordinamento  e  funzionale  a  garantire  un
assetto coerente su  tutto  il  territorio  nazionale,  limitando  le
differenziazioni delle legislazioni regionali» (richiamando anche  la
precedente sentenza n. 231 del 2016). 
    La Corte, ha spiegato, per esempio, che «... l'art. 6,  comma  2,
lettera  e),  del   Trattato   sull'Unione   europea,   deve   essere
interpretato nel senso di escludere dal suo ambito  applicativo,  sia
gli interventi volti alla creazione di nuove volumetrie (ad  esempio:
spogliatoi e docce), sia la costruzione di piscine, in  quanto  opere
comportanti l'effettuazione di scavi e, come tali, del tutto estranee
alla nozione  di  edilizia  libera»  (sentenza  n.  282  cit.).  Come
rilevato dalla Corte  nella  sentenza  piu'  volte  citata,  «Non  e'
percio' pensabile che il  legislatore  statale  abbia  reso  cedevole
l'intera disciplina dei titoli  edilizi,  spogliandosi  del  compito,
proprio del legislatore dei principi fondamentali della  materia,  di
determinare  quali  trasformazioni   del   territorio   siano   cosi'
significative, da soggiacere comunque a  permesso  di  costruire.  Lo
spazio attribuito alla legge  regionale  si  deve  quindi  sviluppare
secondo  scelte  coerenti  con   le   ragioni   giustificatrici   che
sorreggono,  secondo  le  previsioni  dell'art.  6  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di
sottrazione al titolo abilitativo» (sentenza n.  139  del  2013).  Il
limite assegnato al  legislatore  regionale  dall'art.  6,  comma  6,
lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  del
2001  sta,  dunque,  nella  possibilita'  di  estendere  «i  casi  di
attivita' edilizia libera ad  ipotesi  non  integralmente  nuove,  ma
«ulteriori»,  ovvero  coerenti  e   logicamente   assimilabili   agli
interventi di cui ai commi  1  e  2  del  medesimo  art.  6»  (ancora
sentenza n. 139 del 2013)». 
    Pertanto, tali  limiti  si  applicano  necessariamente  anche  al
legislatore  siciliano,  ai  sensi  dell'art.  14  dello  Statuto  di
autonomia, e rendono le singole  ipotesi  previste  illegittime  ogni
volta che lo stesso non si sia mantenuto nei limiti di quanto gli  e'
consentito. 
    1.4 Sotto questo profilo, la disposizione regionale qui censurata
e' anche lesiva dei livelli essenziali delle prestazioni dei  diritti
civili e sociali che devono essere garantiti, in  modo  uniforme,  su
tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,
lettera m). 
    1.5 La normativa regionale in esame risulta  anche  contraria  ai
canoni   di   ragionevolezza   e   proporzionalita',   liberalizzando
interventi  classificati  nel  Trattato  sull'Unione  europea   nella
categoria «nuova costruzione» violando gli articoli 3 e 97 Cost. 
    1.6 Diversamente dalla normativa statale, la normativa regionale,
prevede inoltre, al comma 7 del nuovo art. 3 della legge regionale 10
agosto 2016, n. 16: «Le disposizioni  di  cui  al  presente  articolo
prevalgono su quelle contenute  negli  strumenti  urbanistici  e  nei
regolamenti edilizi vigenti, i quali, ove in contrasto, si conformano
al  contenuto  delle  disposizioni  del   presente   articolo.».   Il
legislatore regionale contraddice poi tale previsione, replicando  il
previgente comma 6 dell'art. 3 della legge regionale n. 16 del  2016,
che  viene  addirittura  riformulato   con   l'aggiunta   dell'ultima
locuzione «i quali, ove in  contrasto,  si  conformano  al  contenuto
delle disposizioni del presente articolo». 
    Il nuovo art. 3 della legge regionale n. 16 del 2016, al comma 1,
mette in salvo, oltre alle normative di  settore,  tra  le  quali  le
disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del  paesaggio
di cui al decreto legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  anche  le
«prescrizioni degli strumenti urbanistici» (cosi' come  previsto  dal
Trattato sull'Unione europea, articoli 6, comma 1, e 6-bis, comma 1). 
    Tuttavia,  il  legislatore   regionale   contraddice   poi   tale
previsione, replicando il previgente comma 6 dell'art. 3 della  legge
regionale n. 16 del  2016,  che  viene  addirittura  riformulato  con
l'aggiunta dell'ultima locuzione  «i  quali,  ove  in  contrasto,  si
conformano al contenuto delle disposizioni del presente articolo». 
    Pertanto, viene, chiaramente  fissato  il  principio  secondo  il
quale gli interventi  assoggettati  al  regime  l'attivita'  edilizia
libera dalla legge regionale  sono  realizzabili  in  ogni  contesto,
anche in contrasto con gli strumenti urbanistici. 
    Il predetto comma 7,  pertanto,  si  pone  in  contrasto  con  la
salvezza delle prescrizioni degli strumenti urbanistici,  a  meno  di
non volere mantenere la richiamata salvezza nei limiti ristrettissimi
di quelle disposizioni recanti prescrizioni  in  ordine  alla  (sola)
modalita'  di  realizzazione,  comunque   sempre   assentita,   degli
interventi de quibus. 
    In ogni caso la previsione appare manifestamente  contraddittoria
e irragionevole, oltre che illegittima sotto plurimi profili. 
    1.6.1 Sotto un primo profilo, la normativa contrasta con la norma
statale (articoli 6, comma 1  e  6-bis,  comma  1,  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  380  del   2001)   che   subordina
l'attivita' a edilizia libera o soggetta  a  CILA  alle  prescrizioni
degli strumenti urbanistici,  con  cio'  sancendo  la  prevalenza  di
queste ultime  rispetto  alla  stessa  attivita'  edilizia  libera  o
soggetta a CILA (che potrebbero, quindi, se del caso,  anche  vietare
alcune tipologie di interventi, o  consentirle  solo  in  determinate
zone del territorio comunale). Tale regola di prevalenza non puo' che
rappresentare una norma  di  grande  riforma  economico-sociale,  che
anche le Autonomie speciali sono tenute a rispettare.  La  previsione
regionale,  inoltre,  pone  nel  nulla   l'attivita'   di   vigilanza
sull'attivita'  urbanistico-edilizia,  disciplinata   dall'art.   27,
Trattato sull'Unione europea,  che  presuppone  la  violazione  delle
prescrizioni  degli  strumenti  urbanistici,  consentendo   in   modo
generalizzato sul territorio comunale interventi in contrasto con gli
strumenti  urbanistici,  che  ordinariamente  sarebbero  oggetto   di
demolizione ai sensi del medesimo art. 27. 
    1.6.2 Sotto un altro profilo, la norma regionale, imponendosi  ai
Comuni, diminuisce l'autonomia agli stessi riconosciuta  e  garantita
dalla Costituzione, soppiantando  cosi'  la  funzione  pianificatoria
comunale in materia  urbanistica.  La  Corte,  con  riferimento  alle
funzioni assegnate agli enti locali all'interno  del  «sistema  della
pianificazione»,  ha  evidenziato  l'esigenza  di  procedere  a   una
«verifica   dell'esistenza   di   esigenze   generali   che   possano
ragionevolmente giustificare le disposizioni  legislative  limitative
delle  funzioni  gia'  assegnate  agli  enti  locali»  attraverso  un
giudizio di proporzionalita', che «deve percio' svolgersi,  dapprima,
in astratto sulla legittimita' dello scopo perseguito dal legislatore
regionale e quindi in concreto con  riguardo  alla  necessita',  alla
adeguatezza e al corretto bilanciamento  degli  interessi  coinvolti»
(Corte cost. n. 119 del 2020). Tale giudizio di proporzionalita' deve
necessariamente  svolgersi  qualora  sia  dedotta   la   compressione
dell'autonomia comunale, autonomia che appare derogabile soltanto  ad
opera di interventi finalizzati alla tutela di interessi  di  rilievo
costituzionale    primario    e,     inoltre,     «quantitativamente,
qualitativamente e temporalmente circoscritti». Sotto questo  profilo
la normativa regionale si pone in contrasto con gli articoli  5,  97,
114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e sesto comma,  e
118 Cost., nonche' con i limiti alla potesta'  legislativa  regionale
di cui all'art. 14 dello Statuto di autonomia. 
    1.7 La consistente mole di interventi,  di  ingente  impatto  sul
territorio, realizzabili in deroga alla  pianificazione  urbanistica,
viola ancora la norma di grande riforma economico-sociale  costituita
dal principio  della  pianificazione  urbanistica,  di  cui  all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del  1942,  in
base al quale tutto il territorio comunale deve essere pianificato. 
    1.8 Inoltre, anche nella Regione Siciliana - dotata  di  potesta'
legislativa esclusiva in materia di «tutela del paesaggio», ai  sensi
dell'art. 14, lettera n), dello  Statuto  di  autonomia  -  il  piano
paesaggistico assume  carattere  necessariamente  sovraordinato  agli
altri strumenti di pianificazione territoriale, in applicazione degli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,   aventi   carattere   di   norme   di   grande    riforma
economico-sociale. In particolare, l'art. 145 del  Codice  stabilisce
il principio della necessaria prevalenza del suddetto piano  rispetto
a ogni altro strumento di pianificazione e la sua inderogabilita'  da
parte di  piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o  regionali  di
sviluppo economico. La prevalenza  della  normativa  regionale  sugli
strumenti urbanistici, adeguati al piano paesaggistico, puo' tradursi
in una deroga a quest'ultimo,  con  elusione  del  principio  di  cui
all'art. 145 sopra richiamato. 
    1.9 La disposizione regionale si pone inoltre in contrasto  anche
con il regime di  tutela  indiretta,  disciplinato  dal  Codice  agli
articoli 45 e seguenti. Infatti l'art. 45, comma  2,  ultimo  periodo
stabilisce: «Gli enti pubblici territoriali  interessati  recepiscono
le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi  e  negli  strumenti
urbanistici». 
    La  disposta  prevalenza  della  normativa  regionale,  volta  ad
assentire ex ante ed ex lege interventi che potrebbero invece  essere
vietati dagli strumenti urbanistici, puo' tradursi,  pertanto,  anche
in una lesione delle prescrizioni di tutela  indiretta,  che  dettano
distanze, misure e altre norme finalizzate a evitare che sia messa in
pericolo l'integrita' di beni culturali immobili, ne sia  danneggiata
la prospettiva o la luce,  o  ne  siano  alterate  le  condizioni  di
ambiente e di decoro, che  devono  essere  recepite  negli  strumenti
urbanistici, proprio al fine di assicurarne il rispetto. 
    1.10 Le previsioni  regionali,  infine,  invadono  la  competenza
statale in materia di ordinamento penale, di  cui  alla  lettera  l),
dell'art.  117,  secondo  comma,  Cost.,  in  quanto,  liberalizzando
interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, o subordinandone
alcuni alla semplice  CILA,  sottraggono  la  realizzazione  di  tali
interventi  alle  conseguenze  sanzionatorie  e  penali  legate  alla
realizzazione di tali interventi in  assenza  o  in  difformita'  del
titolo  edilizio,  «depenalizzando»,  sostanzialmente,  le   relative
fattispecie di reato (che restano tali nel resto d'Italia). 
    Pertanto,  viene  invasa  anche  la  competenza  in  materia   di
ordinamento penale, riservata allo Stato ai sensi della  lettera  l),
dell'art. 117, secondo comma, Cost. 
    1.11 Infine, si precisa, che nonostante la previsione de qua sia,
come detto, in parte ripetitiva di analoga previsione regionale  gia'
presente  nel  testo   previgente   dell'art.   3,   il   consolidato
orientamento giurisprudenziale ritiene ammissibile  l'impugnativa  di
una norma regionale che ripeta il contenuto di  una  norma  regionale
previgente anche  se  non  impugnata,  trattandosi  di  una  autonoma
disposizione che rinnova la  lesione  al  riparto  costituzionale  di
competenze, come delineato dalla  Costituzione  e  dallo  Statuto  di
autonomia  della  Regione   Siciliana,   ed   essendo   inapplicabile
all'impugnativa di leggi regionali da parte  dello  Stato  l'istituto
dell'acquiescenza (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 56 del 2020,
che richiama le precedenti sentenze n. 41 del 2017, n. 231  e  n.  39
del 2016). 
II) L'art. 6 della legge regionale n. 23 del 2021, limitatamente alla
lettera d), punti 1), 4), 5) e 6) del comma 1 del nuovo art. 5  della
legge n. 16 del  2016,  come  sostituito  dal  predetto  art.  6,  e'
costituzionalmente illegittimo  per  violazione  dell'art.  14  dello
Statuto siciliano; degli articoli 3, 9 e  97  Cost.;  dell'art.  117,
primo comma,  Cost.,  alla  luce  della  legge  n.  14  del  2006  di
recepimento della Convenzione europea del paesaggio;  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), di cui costituiscono parametri  interposti
gli articoli 135, 143 e 145 del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, nonche' per  violazione  delle  norme  di  grande  riforma
economico sociale recate dall'art. 41-quinquies della  legge  e  1150
del 1942 e dall'art. 14 del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 40 nonche' dal decreto-legge n. 112 del 2008 (c.d. Piano casa),  e
dalla relativa Intesa Stato-Regioni. 
    2. L'art. 6 della legge regionale in esame sostituisce  l'art.  5
della legge regionale n. 16 del 2016. In  particolare,  il  comma  1,
lettere a), b) e c), ripete il comma  1  dell'art.  10  del  Trattato
sull'Unione europea.  La  successiva  lettera  d),  invece,  contiene
l'elenco  degli  ulteriori  interventi  subordinati  a  permesso   di
costruire («opere di recupero volumetrico ai fini abitativi e per  il
contenimento  del  consumo  di  nuovo  territorio,  come  di  seguito
definite»), in  apparente  attuazione  dell'art.  10,  comma  3,  del
Trattato sull'Unione europea. L'elencazione  regionale  e'  in  molti
casi illegittima, in quanto non si  limita  a  individuare  ulteriori
interventi edilizi, rientranti nella categoria delle  opere  indicate
nella lettera d), la cui realizzazione, «in  relazione  all'incidenza
sul territorio e sul carico  urbanistico»  richiede  il  permesso  di
costruire - misura che, in questi  termini,  rientrerebbe  senz'altro
nelle attribuzioni della Regione -  ma  sostanzialmente  introduce  a
regime la legittimazione al recupero a  fini  abitativi  ex  post  di
sottotetti, pertinenze, verande, locali interrati etc. 
    La Regione Siciliana, contemporaneamente,  abroga  la  precedente
normativa che consentiva il recupero a fini abitativi dei  sottotetti
legittimamente realizzati fino alla data di entrata in  vigore  della
normativa stessa nell'aprile del 2003 (cfr. art. 18  legge  regionale
n. 4 del 2003, abrogato dall'art. 23,  comma  1,  lettera  b),  della
legge n. 23 del 2021, il quale, all'art. 30 della legge regionale  n.
16  del  2016,  intitolato  «Abrogazione  di  norme»,  ha   aggiunto,
nell'elenco delle disposizioni  abrogate,  alla  lettera  b)-septies,
l'art. 18 della legge regionale n. 4 del 2003). 
    A seguito di  tali  modificazioni,  viene  quindi  consentito  il
recupero generalizzato, senza alcun limite temporale e in deroga alla
pianificazione   urbanistica   in   qualunque   tempo   emanata,   di
qualsivoglia sottotetto, locale interrato etc, anche se realizzato, a
rigore, addirittura dopo l'entrata in  vigore  della  norma  de  qua,
attribuendo premialita' volumetriche ulteriori e distinte rispetto  a
quelle consentite dalla disciplina urbanistico-edilizia, e cio' anche
nei  centri  storici.  Sono  inoltre  compresi  anche  gli   immobili
regolarizzati attraverso sanatorie  edilizie  e  SCIA  in  sanatoria,
contrariamente alla normativa sul  c.d.  piano  casa  che,  per  come
esplicitata nell'Intesa Stato-Regioni del 2009, esclude dal campo  di
applicazione delle «premialita'» gli immobili nati come  illegittimi,
se pur successivamente sanati. 
    Al  riguardo,  occorre  in  via  preliminare  osservare  che   il
legislatore nazionale, al di fuori delle  normative  eccezionali  per
finalita'   abitative,   di   riqualificazione   ed   efficientamento
energetico (c.d. piano casa, di cui al decreto-legge n. 112 del 2008,
conv. con modificazioni in legge n. 133 del 2008 e  al  decreto-legge
n. 70 del 2011) non ha disciplinato il recupero  abitativo  di  opere
quali quelle sopra elencate, come i sottotetti et alia,  che  pur  si
pone  come  derogatorio  al  principio  di  ordinato   sviluppo   del
territorio nel rispetto degli strumenti e degli standard urbanistici. 
    A tale proposito, la  Corte  costituzionale,  con  riferimento  a
norme regionali volte a consentire il recupero a fini  abitativi  dei
sottotetti gia'  esistenti,  ha  evidenziato  la  peculiarita'  della
fattispecie,  ritenendola  legittima  «a   condizione   che   fossero
rispettati tutti i limiti fissati dal legislatore statale in tema  di
distanze, tutela del paesaggio, igiene e salubrita'» (Corte cost.  n.
208 del 2019, che richiama le precedenti sentenze n. 282 e n. 11  del
2016). 
    Pertanto, secondo le indicazioni della Corte, possono richiamarsi
anche in questo  caso  i  principi  e  i  limiti  entro  i  quali  il
legislatore nazionale ha circoscritto le premialita'  volumetriche  a
fini abitativi e di contenimento dell'uso del suolo in occasione  del
c.d. piano casa, frutto di  normative  eccezionali.  In  particolare,
tali interventi non possono riferirsi ad edifici abusivi o  siti  nei
centri storici o in aree ad inedificabilita'  assoluta.  Inoltre,  il
legislatore statale ha mantenuto fermo  il  rispetto  degli  standard
urbanistici nonche' delle altre normative di settore aventi incidenza
sulla disciplina dell'attivita' edilizia e in particolare delle norme
antisismiche,  di  sicurezza,  antincendio,  igienico-sanitarie,   di
quelle relative all'efficienza energetica, di  quelle  relative  alla
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema,  nonche'  delle  disposizioni
contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio,  di  cui  al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    La Corte costituzionale, anche di  recente,  ha  sottolineato  la
necessita'  di  tutelare  i  centri  storici  quali   beni   unitari,
affermando: «si desume dalle norme del codice dei beni  culturali  il
principio secondo cui i centri storici, in quanto beni  paesaggistici
«unitari» e di notevole interesse pubblico,  meritano  una  specifica
tutela.  L'art.  136  del  detto  codice,  infatti,  qualifica   oggi
espressamente i centri e i  nuclei  storici  come  aree  di  notevole
interesse   pubblico.   In   considerazione   dell'evoluzione   della
concezione del centro storico,  da  considerarsi  non  solamente  una
«zona urbanistica», ma appunto un bene dall'alto valore  culturale  e
ambientale, occorre che i soggetti responsabili della sua  protezione
si dotino di strumenti idonei a coniugare l'esigenza di sviluppo  del
centro urbano con quella di conservazione e valorizzazione  dei  beni
immobili ivi presenti. Il centro storico e'  tutelato,  dunque,  come
«unita' complessa»,  a  prescindere  dalla  circostanza  che  al  suo
interno vi siano beni immobili vincolati ai sensi della Parte II cod.
beni culturali»  (cfr.  sentenza  n.  130  del  2020).  Sotto  questo
profilo, la Corte ha enfatizzato il ruolo cooperativo dello  Stato  e
delle Regioni,  che  «nell'ambito  delle  competenze  in  materia  di
Governo del territorio o urbanistica» devono cercare «di superare  la
visione parcellizzata degli interventi edilizi  per  privilegiare  la
considerazione unitaria dei nuclei storici». 
    Diversamente, il legislatore regionale  siciliano,  permette:  il
recupero volumetrico a fini abitativi  delle  opere  anzidette  senza
alcun limite temporale, ossia «a regime», comprese quelle  realizzate
su immobili regolarizzati a  seguito  di  sanatoria  (punto  1  della
lettera d dell'art. 5 della legge regionale  n.  16  del  2016,  come
sostituito dall'art. 6 della legge regionale  n.  23  del  2021);  il
recupero abitativo delle  pertinenze,  dei  locali  accessori,  degli
interrati e dei seminterrati e degli ammezzati «in deroga alle  norme
vigenti» (punto 4 della lettera d dell'art. 5 della  legge  regionale
n. 16 del 2016, come sostituito dall'art. 6 della legge regionale  n.
23  del  2021),  mantenute  invece  ferme,  come  si  e'  detto,  dal
legislatore  statale  nell'ambito  del   piano   casa   (cfr.   Corte
costituzionale n. 217 del 2020); l'apertura di finestre, lucernari  e
terrazzi, opere in grado di modificare permanentemente  lo  sky  line
urbano,  senza  inquadrare  tali  interventi  all'interno  del  piano
paesaggistico, strumento  di  vertice  deputato  alla  pianificazione
territoriale, e cio' anche nei centri storici (esclusi  invece  dalla
normativa sul piano casa), prevedendo (al punto  5  della  lettera  d
dell'art. 5 della legge regionale n. 16  del  2016,  come  sostituito
dall'art.  6  della  legge  regionale  n.  23  del  2021)  che:  «gli
interventi edilizi finalizzati  al  recupero  dei  sottotetti,  delle
pertinenze  e   dei   locali   accessori   avvengono   senza   alcuna
modificazione delle altezze di colmo e di gronda  e  delle  linee  di
pendenza delle falde. Tale recupero puo' avvenire anche  mediante  la
previsione  di  apertura   di   «finestre,   lucernari   e   terrazzi
esclusivamente  per  assicurare   l'osservanza   dei   requisiti   di
aero-illuminazione. Per  gli  interventi  da  effettuare  nelle  zone
territoriali omogenee A di cui all'art. 2 del decreto ministeriale  2
aprile 1968, n. 1444, ovvero negli immobili sottoposti ai vincoli del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni
anche  nei  centri  storici  se  disciplinati  dai  piani  regolatori
comunali, ovvero  su  immobili  ricadenti  all'interno  di  parchi  e
riserve naturali, o in aree protette da norme nazionali o  regionali,
e in assenza di piani attuativi,  i  comuni  adottano,  acquisito  il
parere della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali, ovvero
di concerto con gli enti territoriali  competenti  alla  gestione  di
suddetti parchi e riserve naturali o aree protette, una  variante  al
vigente  regolamento  edilizio  comunale,   entro   il   termine   di
centottanta giorni dalla data di entrata  in  vigore  della  presente
legge. Detta variante individua anche gli ambiti nei quali,  per  gli
interventi ammessi  dalla  presente  legge,  non  e'  applicabile  la
segnalazione  certificata  di  inizio  attivita'.  E'   fatto   salvo
l'obbligo delle autorizzazioni previste dal  decreto  legislativo  n.
42/2004 e  successive  modificazioni».  Al  riguardo,  si  chiede  il
rispetto  delle  prescrizioni   tecniche   edilizie   contenute   nei
regolamenti vigenti nonche' delle normative in  materia  di  impianti
tecnologici e contenimento dei costi, «fatte salve le deroghe di  cui
ai punti precedenti» e nelle aree soggette a tutela  (punto  6  della
lettera d dell'art. 5 della legge regionale  n.  16  del  2016,  come
sostituito dall'art. 6 della legge regionale n. 23 del 2021). 
    In ordine ai singoli profili di illegittimita' si precisa  quanto
segue. 
    2.1. La normativa regionale, sancendo la regola  della  ordinaria
trasformabilita' a fini abitativi di manufatti edificati quali  spazi
non abitabili, si pone in  contrasto  con  il  principio  urbanistico
dell'ordinato sviluppo del territorio, nonche' con la  necessita'  di
considerare unitariamente i centri storici. 
    La  normativa  regionale  sostituisce   la   normativa   speciale
previgente, concernente gli edifici realizzati  fino  al  2003  (cfr.
art. 18, comma 1, della  legge  regionale  n.  4  del  2003,  che  fa
riferimento agli «edifici esistenti e  regolarmente  realizzati  alla
data di approvazione della presente legge»), in quanto attuativa  dei
principi di contenimento del consumo di suolo  e  di  efficientamento
energetico, estendendola a tutti gli edifici, anche di' piu'  recente
realizzazione, con cio' contravvenendo al principio  fondamentale  in
materia di governo del territorio - sotteso all'intero impianto della
legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare  a  seguito  delle
modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 - secondo il  quale
gli  interventi  di  trasformazione  edilizia  e   urbanistica   sono
consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica,  che
esercita  una  funzione  di  disciplina  degli  usi  del   territorio
necessaria e insostituibile, in quanto  idonea  a  fare  sintesi  dei
molteplici  interessi,   anche   di   rilievo   costituzionale,   che
afferiscono a ciascun ambito territoriale. 
    Costituiscono infatti principi fondamentali in materia di governo
del territorio, che si  impongono  anche  alla  potesta'  legislativa
primaria spettante alle regioni ad autonomia speciale,  quelli  posti
dall'art. 41-quinquies della legge urbanistica  17  agosto  1942,  n.
1150; articolo aggiunto dall'art. 17 della legge 6  agosto  1967,  n.
765, tra i quali il necessario rispetto degli  standard  urbanistici.
Il «recupero» a fini abitativi generalizzato e senza alcun limite ne'
oggettivo  ne'  temporale,  previsto  dalla   norma   regionale   qui
impugnata, e' per forza di cose destinato a stravolgere gli  standard
legati al carico insediativo e alla densita' abitativa,  relativi  ai
fabbisogni   delle   dotazioni   territoriali   di   un   determinato
insediamento e del tutto autonomi rispetto  al  mero  standard  delle
distanze. 
    Appare chiaro infatti che la  sommatoria  di  «recuperi»  a  fini
abitativi, anche in caso di non incremento di volume fisico (ma  solo
di volumetria urbanistica) o di  superficie  utile,  e'  destinata  a
incidere  sul  livello   sostenibile   di   popolazione   insediabile
compatibile   con   un   certo   tessuto   abitativo    e    percio',
inevitabilmente, sugli standard urbanistici,  intesi  quali  rapporti
fra insediamenti e  spazi  pubblici  o  per  attivita'  di  interesse
generale, e sugli standard  edilizi,  quali  limiti  inderogabili  di
densita'  edilizia  (fatta  eccezione  per  le  altezze/distanze  ove
mantenute ferme), comportandone di fatto la deroga. 
    In nessun caso la disciplina del primo o del secondo piano casa -
per sua natura di stretta interpretazione - consente alle regioni  di
derogare  ai  c.d.  standard  urbanistici  previsti  dalla  normativa
statale,  ma  solamente,  e  solo  temporaneamente,  agli   strumenti
urbanistici. 
    La  Corte  costituzionale  ha  ribadito  la  necessita',  per  il
legislatore regionale, di  rispettare  sempre  e  comunque  i  limiti
fissati dal decreto ministeriale n.  1444  del  1968,  che  trova  il
proprio fondamento nell'art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della
legge 17 agosto 1942, n. 1150 (cfr. sentenza n. 217 del 2020). 
    Pertanto,  e'  costituzionalmente   illegittima   una   normativa
regionale volta a  introdurre  deroghe  generalizzate  ex  lege  alla
pianificazione urbanistica e agli  standard  urbanistici  di  cui  al
decreto ministeriale n.  1444  del  1968,  tanto  piu'  laddove  tali
deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una  tale
opzione normativa viene, infatti, a snaturare del tutto  la  funzione
propria della pianificazione urbanistica e degli standard  fissati  a
livello  statale,  volti  ad  assicurare   l'ordinato   assetto   del
territorio. 
    Viene, peraltro, violato anche il principio di  cui  all'art.  14
del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ove,  al
primo comma, si prevede che la realizzazione di interventi in  deroga
alla pianificazione urbanistica puo' essere assentita solo sulla base
di una valutazione  fatta  caso  per  caso  da  parte  del  consiglio
comunale, sulla base di una ponderazione di interessi  riferita  alla
fattispecie concreta. 
    Inoltre, poiche' la normativa ha ad oggetto anche edifici oggetto
di  sanatoria,  si  pone  in  contrasto  col  principio   che   vieta
premialita'  edilizie  in  caso  di  immobili  abusivi   oggetto   di
sanatoria, esplicitato nell'Intesa del  2009  sul  c.d.  primo  piano
casa. 
    La normativa regionale, sotto questo profilo, si pone percio'  in
contrasto  con  i  limiti  fissati  dall'art.  14  dello  Statuto  di
autonomia. 
    2.2. La normativa regionale, inoltre, destinata  a  incidere  sul
patrimonio  culturale  e  sui  centri  storici,  e  in  generale  sul
paesaggio urbano, vincolato o  meno,  si  pone  in  contrasto  con  i
principi dettati dal Codice dei beni culturali e  del  paesaggio  che
rimettono al piano  paesaggistico,  quale  strumento  di  vertice  di
pianificazione   del   territorio,    la    regolamentazione    delle
trasformazioni in grado di incidere sul paesaggio. 
    Non appare sufficiente, al riguardo, richiedere il  parere  della
Soprintendenza  sulle  varianti  ai  regolamenti  comunali,   nonche'
mantenere ferme le autorizzazioni caso per caso previste dal  Codice.
Il  recupero  generalizzato,   come   prefigurato   dal   legislatore
regionale, svincolato dalle previsioni di pianificazione, rischia  di
trasformarsi in un fenomeno del tutto incontrollabile da un punto  di
vista  complessivo,  trattandosi  di  un  insieme  parcellizzato   di
interventi non disciplinato a monte e percio' in  grado  di  incidere
massicciamente sul paesaggio urbano senza che possano prevedersi  gli
effetti finali complessivi delle singole trasformazioni assentite. 
    La  disciplina  regionale  non  si  sottrae  espressamente   alla
disciplina d'uso del piano paesaggistico, alla  quale  in  ogni  caso
nemmeno rinvia, ma tale circostanza non e' sufficiente  ad  escludere
che la disposizione censurata si ponga in contrasto con il  principio
di prevalenza della pianificazione paesaggistica, o rechi a esso  una
deroga. 
    La Corte ha rimarcato  che  il  «principio  di  prevalenza  della
tutela  paesaggistica  deve  essere  declinato  nel  senso   che   al
legislatore  regionale  e'  impedito  [...]  adottare  normative  che
deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono
obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso  stretto»
(sentenza n. 141 del 2021, che richiama le sentenze numeri 29, 54, 74
e 101 del 2021). 
    Al riguardo, deve sottolinearsi che nei  casi  in  cui  le  leggi
regionali rechino una disciplina d'uso del territorio, esse  svolgono
una funzione pianificatoria che inevitabilmente fuoriesce dai confini
della materia «governo dal territorio» e, anche laddove  riguardi  il
paesaggio non vincolato, viene a impingere nella materia della tutela
del paesaggio, la cui disciplina, che si impone  anche  alle  regioni
speciali in quanto di grande riforma economico-sociale, pone in  capo
alle regioni un vero e proprio obbligo (e non la  mera  facolta')  di
pianificare  l'intero   territorio   regionale   mediante   i   piani
paesaggistici (art. 135 del Codice). 
    Le Regioni pertanto che, in assenza di una specifica disposizione
statale (come avviene per esempio nell'ipotesi del c.d. piano  casa),
disciplinano il territorio regionale mediante legge eludono l'obbligo
di pianificazione del territorio mediante l'unico strumento  deputato
a contenere  la  normativa  d'uso  del  territorio,  ossia  il  piano
paesaggistico, esercitando la funzione di disciplina del paesaggio  e
dei beni paesaggistici in contrasto e in deroga con il  principio  di
prevalenza della pianificazione paesaggistica. 
    2.3. Comportando un generale abbassamento del livello di  tutela,
la normativa regionale appare anche contraria all'art.  9  Cost.,  ai
sensi del quale il paesaggio e' valore  primario  e  assoluto  (Corte
cost. n. 367 del 2007). 
    2.4. La normativa regionale contrasta inoltre  con  l'obbligo  di
pianificazione, posto in capo alle regioni (cfr. art. 135 del Codice)
con riferimento all'intero territorio regionale. 
    E' indubbio che la disciplina derogatoria  operi,  oltre  che  in
relazione ai beni paesaggistici, anche in relazione al paesaggio  non
vincolato, costituente comunque oggetto  di  tutela  ai  sensi  della
Convenzione europea del paesaggio,  sottoscritta  a  Firenze  del  20
ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9 gennaio 2006, n.
14. Anche con riferimento al paesaggio non vincolato le regioni  sono
tenute  alla  pianificazione  paesaggistica,  secondo  la  previsione
dell'art. 135 del Codice. 
    La Convenzione prevede infatti, all'art. 1, lettera  a),  che  il
termine «paesaggio» «designa una  determinata  parte  di  territorio,
cosi come e' percepita dalle popolazioni,  il  cui  carattere  deriva
dall'azione  di   fattori   naturali   e/o   umani   e   dalle   loro
interrelazioni».   Oggetto   della   protezione   assicurata    dalla
Convenzione sono, quindi,  tutti  i  paesaggi,  e  non  solo  i  beni
soggetti a vincolo paesaggistico. 
    Con riferimento  ai  paesaggi,  cosi'  definiti,  la  Convenzione
prevede, all'art. 5, che «Ogni Parte si impegna a: 
        a)  riconoscere  giuridicamente  il   paesaggio   in   quanto
componente  essenziale  del  contesto  di  vita  delle   popolazioni,
espressione della diversita' del loro comune patrimonio  culturale  e
naturale e fondamento della loro identita'; 
        b) stabilire e attuare politiche  paesaggistiche  volte  alla
salvaguardia, alla  gestione  e  alla  pianificazione  dei  paesaggi,
tramite l'adozione delle misure specifiche di cui al seguente art. 6; 
        c) avviare procedure di partecipazione  del  pubblico,  delle
autorita' locali e regionali e degli altri soggetti  coinvolti  nella
definizione e  nella  realizzazione  delle  politiche  paesaggistiche
menzionate al precedente capoverso b); 
        d) integrare il paesaggio nelle politiche  di  pianificazione
del territorio, urbanistiche  e  in  quelle  a  carattere  culturale,
ambientale, agricolo,  sociale  ed  economico,  nonche'  nelle  altre
politiche che possono avere  un'incidenza  diretta  o  indiretta  sul
paesaggio.». 
    In forza del successivo art. 6, inoltre, l'Italia si e' impegnata
all'adozione  di  misure  specifiche,  tra  l'altro,   in   tema   di
«Identificazione e valutazione», da attuare «Mobilitando  i  soggetti
interessati conformemente all'art. 5.c, e ai  fini  di  una  migliore
conoscenza dei propri paesaggi, ogni Parte si impegna a: 
        a) i identificare i propri paesaggi, sull'insieme del proprio
territorio; 
        ii analizzarne le caratteristiche, nonche' le dinamiche e  le
pressioni che li modificano; 
        iii seguirne le trasformazioni; 
        b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori
specifici che sono loro attributi dai soggetti  e  dalle  popolazioni
interessate; (...)». 
    Le misure richieste  dalla  Convenzione  prevedono,  inoltre,  la
fissazione  di  appositi  obiettivi  di  qualita'   paesaggistica   e
l'attivazione degli «strumenti di intervento volti alla salvaguardia,
alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi». 
    L'adempimento degli impegni assunti  mediante  la  sottoscrizione
della Convenzione richiede che tutto il  territorio  sia  oggetto  di
pianificazione e di  specifica  considerazione  dei  relativi  valori
paesaggistici, anche per le parti che non  siano  oggetto  di  tutela
quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, cio' si  traduce
nei precetti contenuti all'art. 135 del Codice  di  settore,  il  cui
testo e' stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n.  63
del 2008, a seguito del recepimento  della  Convenzione  europea  del
paesaggio. 
    In particolare, il comma 1 del predetto art. 135  stabilisce  che
«Lo Stato e  le  regioni  assicurano  che  tutto  il  territorio  sia
adeguatamente conosciuto, salvaguardato,  pianificato  e  gestito  in
ragione dei differenti valori espressi dai diversi  contesti  che  lo
costituiscono. A  tale  fine  le  regioni  sottopongono  a  specifica
normativa d'uso il territorio mediante  piani  paesaggistici,  ovvero
piani  urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione   dei
valori  paesaggistici,  entrambi  di   seguito   denominati:   «piani
paesaggistici».  L'elaborazione  dei  piani   paesaggistici   avviene
congiuntamente  tra  Ministero  e  regioni,  limitatamente  ai   beni
paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1,  lettere  b),  c)  e  d),
nelle forme previste dal medesimo art. 143». 
    Il medesimo art. 135 disciplina, poi, la funzione e  i  contenuti
del piano paesaggistico. 
    Fermo restando che il principio di co-pianificazione e'  attuato,
nella Regione Siciliana,  conformemente  all'autonomia  speciale,  in
ogni caso, anche con riferimento al paesaggio non vincolato, tutte le
regioni sono tenute alla pianificazione paesaggistica, la quale  deve
prevalere su ogni altro strumento pianificatorio e deve essere basata
su una valutazione in concreto dello stato dei luoghi. 
    Pertanto, tale  pianificazione  non  puo'  essere  legittimamente
sostituita  da  previsioni   normative   che   consentano   in   modo
generalizzato determinate trasformazioni del territorio, senza alcuna
considerazione del singolo contesto. 
    2.5. Le  disposizioni  regionali  in  esame  sono  manifestamente
irragionevoli  e  sproporzionate.  Le  stesse,  infatti,  ledono   il
principio dell'ordinato assetto del territorio, tutelato mediante  la
pianificazione  urbanistica  comunale,  di  cui  al  richiamato  art.
41-quinquies della legge n. 1150 del 1941, principio,  anch'esso,  da
ritenere derogabile soltanto ad opera di interventi finalizzati  alla
tutela di interessi di rilievo costituzionale  primario  e,  inoltre,
«quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti». 
    La disciplina regionale appare  fortemente  irragionevole,  posto
che la novella ammette gli interventi in deroga anche su  edifici  di
recentissima realizzazione  o  addirittura  di  futura  edificazione,
senza  che  possano  venire  in  gioco,  quindi,  interessi  pubblici
rilevanti quali il contenimento dell'uso di suolo,  l'efficientamento
energetico, o la rigenerazione urbana, che  stanno  alla  base  della
normativa di recupero dei sottotetti o dei piani interrati. 
    Inoltre, il recupero viene irragionevolmente  esteso  anche  agli
edifici oggetto di sanatoria, nonostante gli  stessi  siano  esclusi,
per esempio, dal piano  casa  nazionale.  Tali  previsioni  risultano
percio' anche  manifestamente  arbitrarie  e  irragionevoli,  nonche'
contrarie al principio del buon andamento dell'amministrazione (artt.
3 e 97 della Costituzione). 
III)  L'art.  10  della  legge  regionale   n.   23   del   2021   e'
costituzionalmente illegittimo  per  violazione  dell'art.  14  dello
Statuto speciale di autonomia; dell'art. 9 e dell'art.  117,  secondo
comma, lettere l), m) e s)  Cost.;  nonche'  delle  norme  di  grande
riforma economico-sociale recate dagli articoli 3 e  10  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    L'art. 10 della legge regionale n. 23 del 2021 sostituisce l'art.
10 della legge regionale n. 16 del 2016, rubricato  «Recepimento  con
modifiche dell'art. 22 «Segnalazione certificata di inizio  attivita'
e  denuncia  di  inizio  attivita'»  e   dell'art.   23   «Interventi
subordinati a segnalazione certificata  di  inizio  di  attivita'  in
alternativa al permesso di  costruire»  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». 
    In particolare, il nuovo comma 10 prevede:  «Previa  segnalazione
certificata  di  inizio  attivita',  con  riferimento  agli  immobili
sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo  n.  42/2004  e
successive modificazioni  sono  consentiti  nel  medesimo  lotto  gli
interventi  di  demolizione  e  ricostruzione  e  gli  interventi  di
ripristino  di  edifici  crollati,  nel  rispetto  della   volumetria
esistente, per motivi di sicurezza o di rispetto di distanze previste
negli strumenti urbanistici vigenti alla data dell'intervento  previo
parere e autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza competente
per territorio». 
    Tale  disposizione   che   disciplina   la   SCIA,   Segnalazione
certificata  di  inizio  attivita',  e  la  DIA  denuncia  di  inizio
attivita', contrasta con la definizione degli interventi edilizi e in
specie con la clausola di salvaguardia a favore dei beni tutelati  ai
sensi del Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  stabilita
dall'ultimo periodo dell'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che recita: 
        d) «interventi di ristrutturazione edilizia», gli  interventi
rivolti a trasformare  gli  organismi  edilizi  mediante  un  insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio  in
tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi  comprendono
il ripristino  o  la  sostituzione  di  alcuni  elementi  costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento  di  nuovi
elementi   ed   impianti.    Nell'ambito    degli    interventi    di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi  di
demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi  sagoma,
prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e  tipologiche,
con  le  innovazioni  necessarie  per  l'adeguamento  alla  normativa
antisismica, per l'applicazione della normativa  sull'accessibilita',
per l'istallazione di impianti tecnologici  e  per  l'efficientamento
energetico. L'intervento  puo'  prevedere  altresi',  nei  soli  casi
espressamente previsti dalla legislazione vigente o  dagli  strumenti
urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche  per  promuovere
interventi   di   rigenerazione   urbana.    Costituiscono    inoltre
ristrutturazione edilizia  gli  interventi  volti  al  ripristino  di
edifici,  o  parti  di  essi,  eventualmente  crollati  o   demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la
preesistente consistenza. Rimane  fermo  che,  con  riferimento  agli
immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e
del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42,
nonche', fatte salve le  previsioni  legislative  e  degli  strumenti
urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto
del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in  zone
a queste assimilabili in base alla normativa  regionale  e  ai  piani
urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli
ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico,  gli
interventi  di  demolizione  e  ricostruzione  e  gli  interventi  di
ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di
ristrutturazione  edilizia  soltanto  ove  siano  mantenuti   sagoma,
prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche  e  tipologiche
dell'edificio  preesistente  e  non  siano  previsti  incrementi   di
volumetria». 
    La clausola di salvaguardia, per i beni vincolati  o  situati  in
aree vincolate, prevede, infatti, il mantenimento  contemporaneamente
di sagoma, prospetti, sedime e  caratteristiche  planivolumetriche  e
tipologiche dell'edificio preesistente, oltre alla mancanza di  nuove
volumetrie,  per  poter  qualificare  le  demo-ricostruzioni,  o  gli
interventi di ripristino come «ristrutturazione edilizia».  Ove  tali
requisiti non siano tutti rispettati, gli interventi rientrano  nella
«nuova  costruzione»  e  sono  percio'  assoggettati  a  permesso  di
costruire. L'art. 10, comma 1, lettera c)  del  Trattato  sull'Unione
europea precisa, inoltre, che siffatti interventi sono subordinati  a
permesso di costruire. 
    La disposizione regionale censurata, invece,  sottopone  a  SCIA,
anziche'   a   permesso   di   costruire,   taluni   interventi    di
demo-ricostruzione o ricostruzione di  immobili  tutelati;  pertanto,
essa viola l'art. 14 dello Statuto speciale di autonomia; l'art. 9  e
l'art. 117, secondo comma, lettere l), m) e  s)  Cost.;  l'art.  117,
primo comma, Cost. e le norme  di  grande  riforma  economico-sociale
recate dagli articoli  3  e  10  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001. 
    L'art. 10, comma 1, lettera c) del Trattato  sull'Unione  europea
precisa inoltre che  «gli  interventi  che  comportino  modificazioni
della sagoma o della  volumetria  complessiva  degli  edifici  o  dei
prospetti di' immobili sottoposti a tutela ai sensi  del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio  di  cui  al  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n.  42»  costituiscono  «interventi  di  trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a  permesso
di costruire». 
    Invece, la disposizione regionale, pur  richiamando  il  rispetto
della volumetria esistente, sottopone a SCIA, anziche' a permesso  di
costruire, gli interventi di demo-ricostruzione  o  ricostruzione  di
immobili tutelati per il solo fatto che tali interventi si collochino
sullo stesso lotto e sussistano motivi di sicurezza o di rispetto  di
distanze previste  negli  strumenti  urbanistici  vigenti,  requisiti
introdotti dal legislatore  regionale  e  che  si  differenziano  dai
requisiti inderogabilmente richiesti dal legislatore statale. 
    I  sopraddetti  requisiti,  sono  finalizzati  direttamente  alla
tutela  del  patrimonio  culturale  e  del  paesaggio  e,   pertanto,
risultano  dettati  dallo   Stato   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  s)
e rientrano tra le norme di grande riforma economico-sociale  che  si
impongono anche alle Regioni a statuto speciale.  Di  cio'  non  puo'
dubitarsi, ove si consideri che l'assoggettamento degli interventi su
beni vincolati a permesso di costruire comporta anche  l'applicazione
del corrispondente regime sanzionatorio amministrativo e  penale.  Di
conseguenza, la scelta operata dal legislatore  statale  in  tema  di
individuazione del titolo edilizio necessario in  relazione  ai  beni
vincolati e'  direttamente  finalizzata  alla  cura  degli  interessi
primari posti dall'art. 9 della Costituzione. 
    Pertanto, e' certamente esclusa la possibilita' per la regione di
individuare un titolo edilizio differente,  atteso  che  cio'  incide
anche sui livelli essenziali  delle  prestazioni  che  devono  essere
assicurati uniformemente sull'intero territorio  nazionale  -  tra  i
quali vanno annoverati i titoli necessari per  intervenire  sui  beni
tutelati - nonche' sulla potesta' legislativa dello Stato in  materia
di individuazione delle fattispecie  di  reato  per  la  lesione  dei
predetti interessi (art. 117, secondo comma, lettera m e l, Cost.. 
    Peraltro, la Corte costituzionale, ha  gia'  sottolineato  che  i
livelli essenziali delle prestazioni non costituiscono una materia in
senso stretto, «quanto di  una  competenza  del  legislatore  statale
idonea  ad  investire  tutte  le  materie,  rispetto  alle  quali  il
legislatore  stesso  deve  poter  porre  le  norme   necessarie   per
assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di
prestazioni garantite, come contenuto  essenziale  di  tali  diritti,
senza che la legislazione regionale possa limitarle o  condizionarle»
(Corte cost. n. 207 del 2012, riferita a una norma della Provincia di
Trento, che richiama le precedenti sentenze n. 322 del 2009 e n.  282
del 2002). 
    In  tale  senso,  la  Corte  ha  spiegato  che  le  esigenze   di
uniformita'  sono  rinvenibili  anche  «in  tema  di   autorizzazione
paesaggistica su tutto il territorio nazionale, tanto da giustificare
- grazie al citato parametro (art. 117,  secondo  comma,  lettera  m,
Cost.) - che  si  impongano  anche  all'autonomia  legislativa  delle
regioni». 
    La Corte costituzionale, inoltre, si e'  piu'  volte  pronunciata
sulla inderogabilita', da parte del legislatore regionale, oltre  che
delle  disposizioni  relative  ai  titoli  edilizi  anche  di  quelle
afferenti  alle  categorie  di  interventi:  «Questa  Corte  ha  gia'
ricondotto nell'ambito della normativa di  principio  in  materia  di
governo del territorio  le  disposizioni  legislative  riguardanti  i
titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza  n.  303  del
2003, punto  11.2  del  Considerato  in  diritto):  a  fortiori  sono
principi fondamentali della materia le disposizioni  che  definiscono
le categorie di interventi, perche' e' in conformita' a queste ultime
che e' disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al
procedimento e  agli  oneri,  nonche'  agli  abusi  e  alle  relative
sanzioni, anche penali. L'intero corpus normativo statale  in  ambito
edilizio  e'  costruito  sulla  definizione  degli  interventi,   con
particolare  riferimento  alla  distinzione   tra   le   ipotesi   di
ristrutturazione   urbanistica,   di   nuova   costruzione    e    di
ristrutturazione edilizia  cosiddetta  pesante,  da  un  lato,  e  le
ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri
interventi  (restauro  e   risanamento   conservativo,   manutenzione
straordinaria e manutenzione ordinaria), dall'altro.  La  definizione
delle diverse categorie di interventi edilizi  spetta,  dunque,  allo
Stato» (cfr. sentenza n. 309 del 2011). 
    La Corte, nella sentenza citata, ha peraltro precisato «La  linea
di distinzione tra le ipotesi di nuova  costruzione  e  quelle  degli
altri interventi edilizi, d'altronde, non puo' non essere dettata  in
modo uniforme sull'intero territorio nazionale, la  cui  «morfologia»
identifica il paesaggio, considerato questo come «la rappresentazione
materiale  e  visibile  della  Patria,  coi  suoi  caratteri   fisici
particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue  pianure,  i
suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e  vari  del  suo
suolo, quali si sono firmati e son  pervenuti  a  noi  attraverso  la
lenta successione dei secoli» (Relazione illustrativa della legge  11
giugno 1922, n. 778 «Per la tutela delle bellezze  naturali  e  degli
immobili  di  particolare  interesse  storico»,  Atti   parlamentari,
Legislatura XXV, Senato del Regno, Tornata del  25  settembre  1920).
Sul territorio, infatti, «vengono a trovarsi di  fronte»  -  tra  gli
altri  -  «due  tipi  di  interessi  pubblici  diversi:  quello  alla
conservazione del paesaggio,  affidato  allo  Stato,  e  quello  alla
fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni»  (sentenza  n.
367 del 2007, punto 7.1 del Considerato in diritto).  Fermo  restando
che  la  tutela  del  paesaggio  e   quella   del   territorio   sono
necessariamente  distinte,  rientra  nella   competenza   legislativa
statale stabilire la linea di distinzione tra  le  ipotesi  di  nuova
costruzione  e  quelle  degli  altri  interventi   edilizi.   Se   il
legislatore regionale potesse definire  a  propria  discrezione  tale
linea, la conseguente difformita' normativa che  si  avrebbe  tra  le
varie regioni produrrebbe rilevanti  ricadute  sul  «paesaggio  [...]
della Nazione» (art. 9 Cost.), inteso come «aspetto  del  territorio,
per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che  e'  di  per
se' un valore costituzionale» (sentenza n. 367 del 2007), e sulla sua
tutela». 
IV) L' art. 20 della legge regionale n. 23 del 2021, limitatamente al
comma 1, lettera b) che sostituisce il comma  3  dell'art.  25  della
legge  regionale  10  agosto  2016,  n.  16,  e'   costituzionalmente
illegittimo per  violazione  dell'art.  14  dello  Statuto  speciale;
dell'art. 117 secondo comma, lettera s) Cost., per  violazione  delle
norme di grande riforma economico sociale di cui agli  articoli  142,
146, 167, 181 e 182 del Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio;
dell'art. 117, secondo comma, lettera l) e m) Cost. e degli  articoli
9, 3 e 97 Cost.. 
    L'art. 20 della legge regionale n. 23 del 2021 modifica l'art. 25
della legge regionale n. 16 del 2016, concernente la  «Compatibilita'
paesaggistica delle  costruzioni  realizzate  in  zone  sottoposte  a
vincolo e regolarizzazione di autorizzazioni edilizie in  assenza  di
autorizzazione paesaggistica». 
    In particolare, il comma 1, lettera b), sostituisce  il  comma  3
del predetto art. 25 con il seguente: «La procedura di cui ai commi 1
e 2 si applica anche per la regolarizzazione di concessioni  edilizie
rilasciate in assenza di  autorizzazione  paesaggistica  per  i  beni
individuati dalle lettere a) e b)  del  comma  1  dell'art.  134  del
decreto  legislativo  22   gennaio   2004,   n.   42   e   successive
modificazioni, sempre che le relative istanze  di  concessione  siano
state presentate al Comune di competenza prima  dell'apposizione  del
vincolo.». 
    Il comma 3 previgente recitava: «La procedura di cui ai commi 1 e
2 si applica anche per la regolarizzazione  di  concessioni  edilizie
rilasciate in assenza di autorizzazione paesaggistica, sempre che  le
relative istanze di concessione siano state presentate al  Comune  di
competenza prima della pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale  della
Regione Siciliana del decreto istitutivo del vincolo di cui  all'art.
140 del decreto legislativo n.  42/2004  e  successive  modifiche  ed
integrazioni». 
    La novella ammette la possibilita'  di  una  sanatoria  ex  post,
prima ristretta ai soli casi di vincolo paesaggistico  istituito  con
dichiarazione di notevole  interesse  pubblico,  anche  per  le  aree
vincolate paesaggisticamente ope legis, a far data dalla  legge  c.d.
Galasso (legge n. 431 del 1985), per il  solo  fatto  che  sia  stata
presentata istanza di concessione edilizia prima dell'apposizione del
vincolo, circostanza che diventa unica condizione legittimante. 
    L'estensione della disposizione, gia' di per se'  illegittima  in
quanto contraria al principio di sanatoria  ex  post  introdotto  dal
Codice, si evince: 
        (i) dall'introduzione, nella norma, del riferimento ai  «beni
individuati dalle lettere a) e b) del  comma  1  dell'art.  134»  del
Codice, che sono, rispettivamente,  i  beni  dichiarati  di  notevole
interesse pubblico con decreto (lettera a)  e  le  aree  tutelate  ai
sensi dell'art. 142 del Codice, ossia le aree c.d. «Galasso» (lettera
b); 
        (ii) dalla riformulazione dell'ultima parte del comma, che ha
sostituito  il  previgente  riferimento  alla   pubblicazione   nella
Gazzetta Ufficiale del decreto istitutivo di vincolo (riferibile sono
ai beni paesaggistici individuati mediante dichiarazione di  notevole
interesse pubblico) con il piu' generico riferimento  all'apposizione
del vincolo. 
    Il legislatore regionale interviene peraltro a distanza di  oltre
quarant'anni dall'imposizione  del  vincolo  ope  legis,  e  a  oltre
quindici anni dall'entrata in vigore  del  divieto  di  sanatoria  ex
post, fissato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio ai  sensi
del combinato disposto dell'art. 146, comma 4, e 167, commi 4 e 5. 
    L'art. 146, comma  4,  del  Codice,  dispone  infatti,  innovando
rispetto al precedente regime normativo, che: «Fuori dai casi di  cui
all'art.  167,  commi  4  e  5,  l'autorizzazione  non  puo'   essere
rilasciata in sanatoria  successivamente  alla  realizzazione,  anche
parziale,  degli  interventi».  L'art.  167,  comma  4,  delimita   i
ristrettissimi casi, di  natura  eccezionale,  in  cui  la  sanatoria
paesaggistica ex post  resta  possibile.  L'art.  182,  comma  3-bis,
contiene la disciplina transitoria,  stabilendo  il  termine  finale,
ormai ampiamente scaduto, entro il quale l'amministrazione e'  tenuta
a dar corso alle  domande  di  sanatoria,  anche  laddove  dichiarate
improcedibili a causa del sopravvenuto (rispetto  alla  realizzazione
dell'opera) divieto di sanatoria ex post. 
    Il  Giudice  amministrativo  ha  peraltro  rimarcato,  anche   di
recente, che le istanze di sanatoria presentate  tardivamente,  anche
per opere realizzate prima del divieto  introdotto  dal  Codice,  non
sono meritevoli di affidamento, in quanto tale affidamento  «potrebbe
porsi in realta' soltanto per coloro che non per loro  colpa  abbiano
visto esaminare in ritardo la loro  posizione  amministrativa»  (cfr.
Consiglio di Stato, sentenza n. 5245 del 2018). 
    Il legislatore siciliano non solo  non  ha  attuato,  all'interno
della regione, il nuovo principio di divieto  di  sanatoria  ex  post
stabilito dal Codice, ma interviene addirittura in senso contrario al
principio stesso, aumentando le ipotesi in cui consentire il giudizio
di compatibilita' paesaggistica «ora per allora» a tutte le aree c.d.
Galasso,  in  contrasto  anche  con  i   livelli   essenziali   delle
prestazioni  che  devono  essere  garantiti   con   uniformita'   nel
territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
m). 
    La Corte ha gia' censurato una norma della Regione Valle  d'Aosta
che, pur dotata  di  autonomia  speciale  in  materia  di  paesaggio,
interveniva sul procedimento eccezionale di sanatoria di cui all'art.
167, comma 4 del Codice, in quanto essa «ponendosi in  contrasto  con
il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza costituzionale,
secondo  cui  «l'autorizzazione  paesaggistica  [...],  deve   essere
annoverata «tra  gli  istituti  di  protezione  ambientale  uniformi,
validi in tutto il territorio nazionale» (sentenze n. 101 del 2010  e
n. 232 del 2008)  risulta  costituzionalmente  illegittima  la'  dove
prevede che la Commissione regionale per il paesaggio e non  la  sola
soprintendenza possa esprimere parere  «vincolante»  in  merito  alle
istanze  relative  a  provvedimenti  riguardanti  l'applicazione   di
sanzioni demolitorie per abusi edilizi e  per  la  conversione  delle
demolizioni  in  indennita'  o  sanzioni  pecuniarie»  (Corte   cost.
sentenza n. 238 del 2013). La norma era percio' ritenuta illegittima,
«in quanto - discostandosi da quanto previsto da  norme  del  decreto
legislativo  n.  42  del  2004  in  tema  di  tutela   paesaggistica,
qualificabili come «norme di grande riforma economico-sociale» -  non
rispettano i limiti posti dallo Statuto speciale all'esercizio  della
competenza legislativa primaria della Regione autonoma». 
    La normativa regionale, comportando un abbassamento di  tutela  e
in assoluta  violazione  della  logica  «incrementale»  della  tutela
avvalorata dalla Corte  costituzionale  (cfr.  sentenza  n.  141  del
2021), si pone in contrasto con l'art. 9 della Costituzione. 
    Inoltre, incidendo nell'applicazione delle sanzioni penali di cui
all'art. 181 del Codice dei bei culturali e del paesaggio, invade  la
competenza esclusiva statale di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera 1), Cost. Ancora, riaprendo sostanzialmente i  termini  della
sanatoria   dopo   quarant'anni,   appare   anche   irragionevole   e
sproporzionata, e quindi in contrasto con gli articoli 3 e 97 Cost. 
    La Corte ha infatti  piu'  volte  dichiarato  che  l'operativita'
retroattiva delle disposizioni, sia nazionali che  regionali,  «deve,
tuttavia,  trovare   adeguata   giustificazione   sul   piano   della
ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento  tra  le  ragioni
che ne hanno motivato la previsione e  i  valori,  costituzionalmente
tutelati, al contempo potenzialmente lesi  dall'efficacia  a  ritroso
della norma adottata» (sentenza n. 170 del 2013, richiamata da  Corte
costituzionale n. 73 del 2017). 
V)  L'  art.  22  della  legge  regionale  n.   23   del   2021,   e'
costituzionalmente illegittimo per per violazione dell'art. 14  dello
Statuto siciliano, degli articoli 3, 9  e  97  Cost.,  dell'art.  117
secondo comma, lettere l), m), ed  s)  Cost.,  di  cui  costituiscono
parametri interposti gli articoli 167  e  181  del  Codice  dei  beni
culturali e  del  paesaggio,  nonche'  le  norme  di  grande  riforma
economico-sociale recate dalla normativa statale sul  condono  (artt.
31 ss. della legge n. 47 del 1985, art. 39 della  legge  n.  724  del
1994, art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003)  e  il  comma  2-bis
dell'art. 20 della legge n. 241 del 1990. 
    5. L'art. 22 della legge regionale n. 23  del  2021  modifica  il
comma 3 dell'art. 28 della  legge  regionale  n.  16  del  2016.  Per
effetto della novella, il comma 3 e' cosi' riformulato: «Trascorso il
termine di novanta giorni dalla data di deposito della perizia, senza
che sia stato emesso provvedimento con il  quale  viene  assentito  o
negato  il  condono,  la  perizia  acquista   efficacia   di   titolo
abilitativo.  Le  perizie  giurate  possono   essere   precedute   da
comunicazioni asseverate (CILA tardive) e segnalazioni certificate di
inizio attivita' (SCIA in sanatoria) per la regolarizzazione di opere
minori realizzate  all'interno  degli  immobili  oggetto  di  condono
edilizio non definiti, utili per la definizione del condono». 
    La perizia, cui fa riferimento il comma 3, e' prevista dal  comma
1 del predetto art. 28 della legge regionale n. 16/2016, ai sensi del
quale «I titolari degli immobili, che  hanno  presentato  istanza  di
condono edilizio, possono depositare dalla data di entrata in  vigore
della presente legge una perizia  giurata  di  un  tecnico  abilitato
all'esercizio della professione, iscritto in un  albo  professionale,
attestante il pagamento delle somme versate per l'oblazione e per gli
oneri di urbanizzazione nonche' il  rispetto  di  tutti  i  requisiti
necessari per ottenere la concessione in sanatoria,  oltre  la  copia
dell'istanza di condono presentata nei termini previsti  dalla  legge
28 febbraio 1985, n. 47, dalla legge 23 dicembre 1994, n. 724 e dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326.  Gli  interessati,  inoltre,  per  il
periodo 2008-2013, allegano, ove previste, le ricevute di  versamento
delle imposte comunali sugli immobili e quelle per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani». 
    5.1. La  disposizione  regionale  interviene  nella  materia  del
condono edilizio  al  fine  di  estenderne  la  portata  applicativa,
prevedendo in primo luogo, che  la  perizia  depositata  al  fine  di
attestare  il  possesso  dei  requisiti  stabiliti  dal   legislatore
regionale per usufruire del  condono,  in  caso  di  silenzio-assenso
protratto  per  novanta  giorni  valga  come  condono  stesso.  Viene
introdotto, percio', una sorta  di  silenzio-assenso  in  materia  di
condono, sia pure mediato dal deposito  di  una  perizia  tecnica  di
parte, che si discosta notevolmente dalla  fattispecie  prevista  dal
legislatore statale, prevedendo,  anziche'  un  biennio,  un  termine
molto  piu'  breve  per  la  formazione  del  titolo   e   includendo
nell'ambito  applicativo  della  fattispecie   anche   gli   immobili
vincolati. Cio' in totale spregio dei capisaldi posti dal legislatore
statale in tema di condono, come di seguito richiamati: 
        (i)  «Per  consolidata  giurisprudenza  (C.d.S.,  Sez.  V,  8
novembre 2011, n. 5894 e 3  novembre  2010,  n.  7770;  Sez.  IV,  16
febbraio 2011, n. 1005 e 30 giugno 2010, n. 4174) il silenzio assenso
non si perfeziona per il solo fatto dell'inutile decorso del  termine
perentorio a far data dalla presentazione della domanda di  sanatoria
e del pagamento dell'oblazione, se non sopravviene  la  verifica  del
comune circa la ricorrenza  dei  requisiti  soggettivi  ed  oggettivi
stabiliti dalle specifiche disposizioni di  settore,  da  verificarsi
all'interno del relativo procedimento. La formazione del  silenzio  -
assenso richiede, quale presupposto  essenziale,  oltre  al  completo
pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che  siano  stati
integralmente dimostrati gli  ulteriori  requisiti  sostanziali,  che
nella specie non ricorrono» (Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2015,  n.
1675); 
        (ii) il biennio assegnato al Comune per provvedere (trascorso
il quale si forma il silenzio-assenso) decorre dalla presentazione di
un'istanza debitamente documentata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
28 novembre 2013, n. 5703; Consiglio di Stato sez. IV, 30 giugno 2010
n. 4174; 23 luglio 2009, n. 4671; sez. V, 21 settembre 2005 n.  4946;
sez. II, 13 giugno 2007 n. 1797/2007); 
        (iii) la  formazione  del  condono  per  silenzio-assenso  e'
pacificamente  esclusa  con  riferimento  agli  abusi   su   immobili
vincolati (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre  2015,  n.
4749). 
    L'effetto concreto  della  previsione  introdotta  dalla  Regione
Siciliana e' che le pratiche di condono ad oggi ancora incomplete  (e
sulle quali non ha quindi preso a decorrere il termine  di  due  anni
per  la  formazione  del  silenzio-assenso)  vengano  completate   (o
asseritamente completate),  presentando  contestualmente  la  perizia
giurata prevista dalla legge regionale. Da quel momento  iniziera'  a
decorrere il termine di soli novanta giorni (e non di due  anni)  per
la verifica da parte del Comune. Inoltre, il titolo in  sanatoria  si
formera' anche laddove la perizia risulti errata e la pratica sia  in
realta' ancora incompleta. Infine, il titolo si formera'  persino  in
presenza di immobili vincolati. 
    Si evidenzia, inoltre, che il legislatore statale,  recentemente,
e' intervenuto in materia di silenzio-assenso, introducendo il  nuovo
comma 2-bis nell'art. 20 della legge n. 241  del  1990,  mediante  il
decreto-legge n. 77 del 2021, prevedendo il  rilascio,  su  richiesta
dell'interessato, da parte dell'amministrazione,  di  un'attestazione
sul decorso dei termini del procedimento e  sull'accoglimento  tacito
della domanda.  La  previsione  regionale,  percio',  si  rivela  non
necessaria al fine di dare certezza al privato e contrasta anche  con
il principio introdotto dalla disposizione ora richiamata,  e  quindi
con i livelli essenziali  delle  prestazioni  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera m). 
    5.2. In secondo luogo, la norma regionale qui censurata prefigura
una nuova  ipotesi  di  «condono  minore»,  nelle  more  del  condono
principale, tramite CILA o SCIA postume, sconosciuta all'ordinamento.
Eventuali interventi abusivi, ancorche' minori, su un immobile gia' a
sua volta abusivo, sebbene nelle more  della  procedura  di  condono,
costituiscono  a  loro   volta   illeciti   edilizi,   che   accedono
all'illegittimita' dell'opera principale, e  non  possono  certamente
essere  sanati  mediante  la  procedura  peculiare  prefigurata   dal
legislatore  regionale  quando  ancora  non  e'   sanato   l'immobile
principale. 
    Pertanto, la norma regionale contrasta con i principi in tema  di
condono ripetutamente ribaditi dalla  Corte  costituzionale,  nonche'
affermati dal Giudice penale. Ne deriva che la  disciplina  censurata
si pone in contrasto con i limiti alla potesta' legislativa regionale
sanciti dall'art. 14 dello Statuto speciale  e  invade  la  sfera  di
competenza statale. 
    Infatti, la Corte ha piu' volte affermato  che  «esula,  infatti,
dalla potesta' legislativa concorrente delle  Regioni  il  potere  di
"ampliare i limiti applicativi della sanatoria" (sentenza n. 290  del
2009) oppure, ancora,  di  "allargare  l'area  del  condono  edilizio
rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato" (sentenza n. 117
del 2015).  A  maggior  ragione,  esula  dalla  potesta'  legislativa
regionale  il  potere  di  disporre   autonomamente   una   sanatoria
straordinaria per il solo territorio regionale (sentenza n.  233  del
2015)» (cfr. Corte n. 73 del 2017 cit.). 
    Occorre peraltro evidenziare che l'intera disciplina del  condono
riveste carattere eccezionale ed e' connotata dal carattere di grande
riforma economico sociale. 
    La norma regionale ha  una  evidente  ricaduta  anche  sul  piano
dell'ordinamento   penale,   parimenti   riservato   alla    potesta'
legislativa  statale,  con  conseguente  violazione  dell'art.   117,
secondo comma,  lettera  1),  Cost.  e  dell'art.  14  dello  Statuto
speciale. 
    Sono inoltre violati i livelli essenziali delle  prestazioni  che
devono  essere  garantiti  uniformemente  su  tutto   il   territorio
nazionale ai sensi dell'art 117, secondo comma, lettera m). 
    Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  196
del 2004, quanto alle Regioni ad autonomia speciale, opera infatti il
limite  della  «materia  penale»  (comprensivo  delle  connesse  fasi
procedimentali) e quanto e' immediatamente riferibile ai principi  di
questo intervento eccezionale di «grande riforma»,  quali  il  titolo
abilitativo edilizio in sanatoria e  la  determinazione  massima  dei
fenomeni condonabili (nello stesso senso le sentenze n. 70  e  n.  71
del 2005; cfr. anche le sentenze n. 54 del 2009 e 290 del 2009). 
    La  norma  e'  anche  manifestamente  irragionevole,  in   quanto
consente «condoni  intermedi»  nelle  more  del  perfezionamento  del
condono principale, che potrebbe anche essere negato. 
VI) L' art. 37 della legge regionale n. 23  del  2021,  limitatamente
alle lettere a), c), punto 1, punto 2, e  d),  e'  costituzionalmente
illegittimo: 
    (i) le lettere a) e d) per violazione dell'art. 14 dello  Statuto
speciale, nonche' degli articoli 3, 9 e 97, 117, primo comma, Cost. -
alla  luce  della  legge  n.  14  del  2006,  di  recepimento   della
Convenzione europea sul paesaggio - 117, secondo  comma  lettera  s),
della  Costituzione,  di  cui  costituiscono  norme  interposte   gli
articoli 135,  146  e  167  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, e per violazione delle norme di grande  riforma  economico
sociale costituite dai principi di cui all'art. 41-quinquies,  ottavo
e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, dall'art. 14 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380 del  2001,  nonche'  dall'art.
11, comma  5,  del  decreto-legge  n.  112  del  2008,  in  relazione
all'Intesa sul piano casa del 2009; 
    (ii) la lettera c) punto 1) per  violazione  dell'art.  14  dello
Statuto speciale, nonche' degli articoli 3, 9 e 97, 117, primo  comma
- alla luce  della  legge  n.  14  del  2006,  di  recepimento  della
Convenzione europea sul paesaggio - 117, secondo  comma  lettera  s),
della Costituzione, di cui costituisce norma  interposta  l'art.  135
del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e per violazione delle
norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi  di
cui all'art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge  n.  1150
del 1942, dall'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica n.
380 del 2001, nonche' dall'art. 11, comma 5, del decreto-legge n. 112
del 2008, in relazione all'Intesa sul piano casa del 2009; 
    (iii) la lettera c), punto 2) per violazione dell'art.  14  dello
Statuto speciale, nonche' degli articoli 3, 5, 9,  97,  114,  secondo
comma, 117, primo comma, Cost. - alla luce  della  legge  n.  14  del
2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio  -  117,
secondo comma lettera p), 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.  di
cui costituisce norma interposta  l'art.  135  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio,  l'art.  117,  sesto  comma  e  118  della
Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma  economico
sociale costituite dai principi di cui all'art. 41-quinquies,  ottavo
e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, dall'art. 14 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380 del  2001,  nonche'  dall'art.
11, comma  5,  del  decreto-legge  n.  112  del  2008,  in  relazione
all'Intesa sul piano casa del 2009. 
    6. L'art. 37  della  legge  regionale  n.  23  del  2021  apporta
modifiche alla legge  regionale  n.  6  del  2010,  c.d.  piano  casa
siciliano. 
    Nel dettaglio, il comma 1, lettera a),  sostituisce  il  comma  4
dell'art. 2, allo scopo di estendere l'operativita'  del  c.d.  piano
casa anche  agli  edifici  «condonati»,  precedentemente  esclusi  e,
parallelamente, la lettera d) sopprime il limite di applicazione agli
«immobili oggetto di  condono  edilizio».  La  lettera  c),  inoltre,
modifica l'art. 6 della legge sul piano casa, sopprimendo  il  limite
di quarantotto mesi per la  presentazione  delle  istanze  (punto  1)
nonche'  la  previsione  in  base  alla  quale  i   Comuni   potevano
motivatamente escludere o limitare l'applicabilita'  del  piano  casa
(punto 2). 
    6.1. In particolare, le novelle di cui alle lettere a) e d) hanno
l'effetto dirompente di capovolgere il principio statale, posto  alla
base del c.d. piano casa, in base al quale gli abusi edilizi, benche'
oggetto di sanatoria, non sono mai computabili ai  fini  di  ottenere
premialita' edilizie su quei volumi, pur sempre frutto  di  attivita'
illecita e, inoltre, spesso  incoerenti  rispetto  alla  destinazione
urbanistica dell'area nella quale si collocano (ragione per la  quale
le opere erano state originariamente realizzate senza  titolo).  Cio'
risulta espressamente nell'Intesa del 2009 sul c.d. piano casa, nella
quale si prevede che «Tali interventi edilizi non  possono  riferirsi
ad edifici abusivi o nei centri storici o in aree di inedificabilita'
assoluta». 
    La  disposizione  regionale  ha  anche  come  effetto  l'evidente
incremento    dell'edificazione    anche    in     aree     vincolate
paesaggisticamente, per le quali, a far  data  dal  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, e' stato stabilito il principio  c.d.  del
«divieto di sanatoria ex post» (salvi i limitatissimi  casi  previsti
dall'art. 167, comma 4, del Codice). 
    Le  novelle,  concedendo  la  possibilita'  di   realizzare   gli
interventi del c.d. primo piano casa anche in  relazione  a  immobili
condonati, violano lo specifico  divieto  contenuto  nell'Intesa  del
2009 e pervengono  cosi'  anche  a  esiti  contrari  ai  principi  di
proporzionalita' e ragionevolezza. 
    6.2. La novella di cui alla lettera  c),  punto  1,  modifica  il
comma 2 dell'art. 6  della  legge  sul  piano  casa,  sopprimendo  il
termine di quarantotto mesi dal termine fissato al comma  4  (pari  a
centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge) al quale  erano
subordinate le istanze di interventi  edilizi  di  ampliamento  degli
edifici esistenti nonche' di interventi per favorire il  rinnovamento
del patrimonio edilizio esistente. 
    Anche in questo  caso,  la  novella  ha  un  effetto  dirompente:
infatti,  non  solo  la  stessa  converte   le   istanze   «tardive»,
eventualmente gia' presentate, in  istanze  «tempestive»,  ma  riapre
sine  die  i  termini  del  piano  casa  siciliano   consentendo   la
presentazione di nuove domande senza alcun limite temporale. 
    Al  riguardo,  occorre  sottolineare  che  la   finalita'   della
normativa  sul  c.d.  piano  casa  era  originariamente   quella   di
consentire interventi «straordinari», per  un  periodo  temporalmente
limitato,  su   edifici   abitativi.   Dato,   questo,   puntualmente
evidenziato dalla Corte costituzionale, la quale non  ha  mancato  di
rilevare come il c.d. piano casa fosse una «misura  straordinaria  di
rilancio del mercato edilizio predisposta nel  2008  dal  legislatore
statale, contenuta nell'art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133» (Corte cost. n.  70
del 2020; cfr. anche Corte costituzionale n. 217 del 2020). 
    Questa originaria finalita'  appare  essere  stata  completamente
snaturata dalla Regione Sicilia con la novella in esame, che consente
di  determinare  la  sostanziale  «stabilizzazione»   delle   deroghe
consentite dalla legge regionale del 2009 (attuativa  dell'intesa  in
Conferenza unificata). 
    Si deve evidenziare che l'Intesa del 2009  sul  c.d.  piano  casa
prevedeva espressamente che: 
        «Le regioni si impegnano  ad  approvare  entro  e  non  oltre
novanta giorni proprie leggi  ispirate  preferibilmente  ai  seguenti
obiettivi: 
          a)  regolamentare  interventi  -  che  possono  realizzarsi
attraverso piani/programmi definiti tra Regioni e Comuni - al fine di
migliorare anche la  qualita'  architettonica  e/o  energetica  degli
edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici
residenziali uni-bi familiari o comunque di volumetria non  superiore
ai 1000 metri cubi, per un  incremento  complessivo  massimo  di  200
metri cubi, fatte salve diverse determinazioni regionali che  possono
promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica; 
          b) disciplinare interventi straordinari  di  demolizione  e
ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale
entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalita'  di
miglioramento   della   qualita'   architettonica,    dell'efficienza
energetica ed utilizzo di fonti  energetiche  rinnovabili  e  secondo
criteri di  sostenibilita'  ambientale,  ferma  restando  l'autonomia
legislativa  regionale  in  riferimento   ad   altre   tipologie   di
intervento; 
          c) introdurre firme semplificate e celeri per  l'attuazione
degli interventi edilizi di cui alla lettera a) e b) in coerenza  con
i  principi  della  legislazione  urbanistica  ed  edilizia  e  della
pianificazione comunale. 
    Tali interventi edilizi non possono riferirsi ad edifici  abusivi
o nei centri storici o in aree di inedificabilita' assoluta. 
    Le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei  quali  gli
interventi di cui alle lettere a) e b) sono esclusi o  limitati,  con
particolare riferimento ai beni  culturali  e  alle  aree  di  pregio
ambientale e paesaggistico, nonche' gli ambiti nei quali  i  medesimi
interventi sono favoriti con opportune incentivazioni  e  premialita'
finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate. 
    La disciplina introdotta dalle  suddette  leggi  regionali  avra'
validita' temporalmente definita, comunque non superiore  a  diciotto
mesi dalla loro entrata in vigore, salvo diverse determinazioni delle
singole Regioni». Pertanto, appare evidente che  in  sede  di  Intesa
sono stati previsti precisi limiti per  gli  interventi  realizzabili
«in deroga», sia volumetrici, sia temporali, che  benche'  non  siano
configurabili come indicazioni tassative, assumono comunque valore di
regole di riferimento, rispetto alle  quali  lo  ius  variandi  della
Regione e' contenuto e deve attenersi  alla  ratio  delle  previsioni
concordate. Da  cio'  consegue  che  necessariamente  -  poiche'  una
diversa  interpretazione  porterebbe   a   vanificare   completamente
l'efficacia della predetta Intesa -  le  norme  regionali,  in  senso
ampliativo rispetto ai limiti previsti nell'Intesa, sono  ammissibili
solo se rispondono a canoni di proporzionalita' e ragionevolezza.  In
particolare, la espressa previsione di un termine, peraltro  di  soli
diciotto mesi, non consente di ipotizzare, legittimamente, una «messa
a regime», da parte delle regioni, di  una  normativa  eccezionale  e
derogatoria  alla  pianificazione   urbanistica,   ne'   tanto   meno
l'ampliamento  progressivo  della  portata  di  tale  normativa.   Al
riguardo, va evidenziato che  il  Giudice  amministrativo  ha  sempre
rimarcato il carattere temporaneo del  c.d.  piano  casa,  il  quale,
riflettendo l'esigenza di promuovere  gli  investimenti  privati  nel
settore  dell'edilizia,  «e'  una  disciplina  che  possiede   natura
eccezionale in merito a  specifici  interventi.  In  particolare,  la
normativa de qua e' destinata ad operare per  un  arco  temporalmente
limitato» (cfr. Tribunale amministrativo regionale Campania,  Napoli,
Sez. II, 10 giugno 2020, n. 2304). 
    Non e' quindi  consentito  alle  Regioni  -  al  di  fuori  della
normativa straordinaria e temporanea  del  c.d.  piano  casa,  avente
copertura a livello statale -  introdurre  deroghe  generalizzate  ex
lege  alla  pianificazione  urbanistica.  Tale  lettura  si   impone,
nell'ambito  di  un'interpretazione   costituzionalmente   orientata,
perche' - in forza della norma di interpretazione  autentica  di  cui
all'art. 1, comma 271, della legge 23 dicembre  2014,  n.  190  -  le
agevolazioni incentivanti ivi previste «prevalgono sulle normative di
piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o
attuativi, fermi i limiti  di  cui  all'art.  5,  comma  11,  secondo
periodo, del citato decreto-legge n. 20 del 2011».  La  deroga  della
pianificazione urbanistica deve,  infatti,  considerarsi  ammissibile
per un tempo necessariamente limitato e non e' ipotizzabile a regime,
pena la destrutturazione dell'ordinato assetto  del  territorio,  con
conseguenze  irragionevoli  e  contrarie  al   principio   del   buon
andamento. Anche recentemente il Giudice amministrativo ha  rimarcato
che l'art. 5 del decreto-legge c.d. «Sviluppo»  «e'  disposizione  di
carattere  eccezionale  e   derogatoria   e   pertanto   di   stretta
interpretazione» e che «i benefici da esso previsti sono ammessi solo
se rivolti alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente o
a  promuovere  o  agevolare  la  riqualificazione  di   aree   urbane
degradate» (Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2017, n. 1828). 
    Invece, secondo le previsioni  regionali:  «Gli  interventi  sono
ammessi  in  deroga  alle  previsioni  degli  strumenti   urbanistici
comunali, purche' nel rispetto delle  distanze  minime  stabilite  da
norme  legislative  vigenti  ed   in   conformita'   alla   normativa
antisismica» (cfr. articoli 2, comma 3, e  3,  comma  4)  e  cio',  a
seguito della novella de qua, al  di  fuori  di  qualsivoglia  limite
temprale, stante la riapertura dei termini per la presentazione delle
relative istanze. Contrariamente ai principi sopra richiamati e messi
in  luce  dalla  Corte  costituzionale,  non   tutti   gli   standard
urbanistici sono percio' fatti salvi dalla regione. 
    Il risultato delle novelle  legislative  adottate  dalla  Regione
Siciliana,  e  consistenti  nella,  sostanza,  nella  riapertura  dei
termini per presentare le istanze del c.d. piano  casa,  e',  dunque,
quello di accrescere enormemente, per  sommatoria,  il  numero  degli
interventi  consentiti  ex  lege,  al  di   fuori   di   qualsivoglia
valutazione del singolo contesto territoriale, scardinando  cosi'  il
principio fondamentale in materia di governo del  territorio  secondo
il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono
consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica. 
    La sostanziale stabilizzazione delle  normative  eccezionali  del
c.d. piano  casa  contrasta  anche  con  il  principio  fondamentale,
costituente   norma   di   grande   riforma   economico-sociale,   di
temporaneita' del relativo regime. La novella risulta, percio', anche
manifestamente  arbitraria  e  irragionevole,  nonche'  contraria  al
principio del buon andamento dell'amministrazione (articoli  3  e  97
della Costituzione) in quanto, ponendo nel nulla le previsioni  degli
strumenti urbanistici, comporta che le trasformazioni sul  territorio
non siano previste sulla base di una valutazione riferita ai  singoli
contesti, bensi' in base a un disegno generale e astratto operato una
volta per tutte dalla legge. 
    In  questo  modo,  viene  violato  l'obbligo  costituzionale   di
disciplinare  in  modo  diversificato   situazioni   tra   loro   non
assimilabili, quali tipicamente sono i contesti territoriali, che per
loro natura richiedono valutazioni specifiche e differenziate. 
    6.3. Il numero 2) della lettera  c)  del  comma  1  dell'art.  37
abroga il comma 4  dell'art.  6  della  legge  n.  6  del  2010,  che
prevedeva: «I comuni,  con  delibera  consiliare,  entro  il  termine
perentorio di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della
presente  legge,   possono   motivatamente   escludere   o   limitare
l'applicabilita' delle norme di cui agli articoli 2 e 3 ad immobili o
zone  del  proprio  territorio  o  imporre  limitazioni  e  modalita'
applicative,  sulla  base  di  specifiche   ragioni   di'   carattere
urbanistico, paesaggistico e ambientale». 
    L'abrogazione   della   disposizione   richiamata   elimina    la
possibilita', per i comuni, di limitare gli effetti  del  piano  casa
sul proprio  territorio,  sulla  base  di  motivazioni  di  carattere
urbanistico, paesaggistico e ambientale. E', percio',  violata  anche
l'autonomia dei comuni, per le medesime ragioni gia'  espresse  al  §
1.6.2. del presente ricorso, al quale si rinvia. 
    L'intervenuta abrogazione appare irragionevole e  sproporzionata,
in quanto tale previsione costituiva un punto  di  caduta  necessario
tra le  opposte  esigenze  della  riqualificazione  abitativa  e  del
principio di ordinato sviluppo del  territorio  di  piena  pertinenza
dell'autorita' comunale. 
    L'irragionevolezza e' amplificata dalla contemporanea  riapertura
sine die dei termini per le relative istanze. 
    Sotto questo profilo la normativa regionale si pone in  contrasto
con gli articoli 5, 97,  114,  secondo  comma,  117,  secondo  comma,
lettera p), e sesto comma, e  118  Cost.,  nonche'  dei  limiti  alla
potesta' legislativa regionale di cui all'art. 14  dello  Statuto  di
autonomia. 
    6.4. Benche' il piano casa siciliano non si  applichi,  ai  sensi
dell'art. 11 della legge n. 6 del 2010,  agli  immobili  tutelati  ai
sensi della Parte II del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,
ai centri storici, le disposizioni richiamate si pongono in contrasto
con  l'obbligo  di  pianificare   tutto   il   territorio   regionale
discendente dalla Convenzione europea del paesaggio recepita mediante
la legge  n.  14  del  2006,  e  concretamente  attuata  mediante  le
previsioni dell'art. 135 Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
VII)  L'art.  38  della  legge  regionale   n.   23   del   2021   e'
costituzionalmente illegittimo  per  violazione  dell'art.  14  dello
Statuto di autonomia, degli articoli 3 e 97 Cost, nonche' della norma
di grande riforma economico  sociale  di  cui  all'art.  41-quinquies
della legge 1150 del 1942. 
    L'art. 38 reca: «Al fine di contrastare l'emergenza Covid-19  per
un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, il limite di mq 50 di cui all'art. 20 della legge regionale 16
aprile 2003, n. 4 e successive modificazioni non si  applica  per  la
chiusura di spazi interni  ove  questi  costituiscano  pertinenze  di
unita' immobiliari in cui sono legittimamente insediate attivita'  di
ristorazione». La norma regionale  disapplica  il  limite  di  mq  50
previsto dall'art. 20 della legge regionale n. 4  del  2003,  il  cui
comma 1 prevede: «In deroga ad ogni altra disposizione di legge,  non
sono soggetti a concessioni e/o autorizzazioni ne'  sono  considerati
aumento di superficie utile o di volume  ne'  modifica  della  sagoma
della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento  oppure  di
terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di  spazi
interni  con  strutture  precarie,  fermo   restando   l'acquisizione
preventiva del nulla-osta da  parte  della  Soprintendenza  dei  beni
culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo». 
    La norma e', inoltre, estesa alla chiusura di verande  o  balconi
con strutture precarie (cfr. comma 3). Si precisa inoltre che sono da
considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in  modo  tale
da essere suscettibili di facile rimozione (cfr. comma 4). 
    La  norma   qui   censurata,   atteso   che   la   finalita'   e'
dichiaratamente    connessa    all'emergenza    pandemica,     appare
manifestamente arbitraria  e  irragionevole,  posto  che  prevede  un
termine di applicazione pari a due anni, nonostante il termine finale
dell'emergenza sia fissato al 31 dicembre 2021;  d'altro  canto,  gli
effetti della norma non  sono  parametrati  all'emergenza  pandemica,
essendo destinati  a  protrarsi  molto  piu'  a  lungo,  non  essendo
previsto un termine oltre al quale  procedere  alla  rimozione  delle
opere. Peraltro, pur  trattandosi  di  opere  precarie,  le  medesime
incidono  sul  principio  di  ordinato   sviluppo   del   territorio,
derogandovi, posto che il Trattato sull'Unione europea non  distingue
gli interventi sulla base di un criterio strutturale (la piu' o  meno
agevole  rimozione),  ma  funzionale  (la  destinazione  a   esigenze
temporanee o permanenti), ed essendo tali opere comunque  finalizzate
alla formazione di spazi chiusi destinati alla permanenza di persone,
che  lo  stesso  Trattato  sull'Unione  europea  annovera   tra   gli
interventi di nuova costruzione.